È davvero piacevole
poter degustare un buon vino. Nel nostro paese abbiamo la fortuna di poter
scegliere tra una varietà ricchissima di denominazioni. Il lavoro dei nostri
viticoltori ci offre infatti la possibilità di fare delle degustazioni
eccezionali, dandoci l'opportunità di meglio gustare i nostri pasti, con gioia
per i nostri sensi. Ma se nel consumo di vino andiamo oltre la quantità
sopportata dal nostro fisico, il piacere del gusto si trasforma nell'esperienza
poco piacevole di una sbronza. Se poi il consumo di vino in quantità eccessiva
diviene abituale, corriamo il rischio di acquisire una dipendenza e di diventare
alcolisti. Così la bella esperienza di levare in alto i calici, se va oltre i
ragionevoli limiti fisiologici, può trasformarsi addirittura in una pesante
sofferenza.
Lo stesso principio di
un uso quantitativamente accorto, vale anche per l'assunzione dei farmaci. Se
ci atteniamo ai quantitativi prescritti dal medico, possiamo curare la malattia
con cui ci stiamo misurando, se andiamo oltre, rischiamo di andare incontro a
seri problemi.
Penso, in definitiva,
che il prestare attenzione alla ragionevolezza dei quantitativi sia in sostanza
un principio cui sia giusto attenersi un po' in tutti i nostri ambiti di vita.
I quantitativi eccessivi, anche di cose di per sé buone, possono essere spesso
dannosi e anche seriamente pericolosi.
A questo proposito negli
ultimi decenni tutti noi stiamo facendo l'esperienza di essere sottoposti a un
incessante bombardamento pubblicitario, che sperimentiamo quotidianamente,
dalla mattina quando apriamo gli occhi sino a sera allorché andiamo a
riposare.
La promozione
pubblicitaria di prodotti e servizi è di certo un'attività di grande utilità
sociale e riveste un rilievo significativo sul piano economico, tuttavia sono
convinto che negli ultimi anni abbia assunto dimensioni di gran lunga
eccessive, dannose per noi cittadini, ma a ben vedere anche controproducenti
per le stesse attività che la pubblicità si propone di promuovere. Stranamente
devo tuttavia constatare che poca o nessuna attenzione viene prestata a questo
problema dal dibattito politico, dalla comunicazione sociale, dal mondo della
cultura e anche da noi cittadini. La sensazione è che la pubblicità sia da noi avvertita
come un dato di fatto indiscusso e indiscutibile, che fa parte naturalmente del
paesaggio contemporaneo e non viene in mente pressoché a nessuno di
sottolineare l’esigenza di contenerla in ambiti dimensionali fisiologicamente
sopportabili dalle persone e dalla convivenza sociale. Sono però convinto
che sia giunto, e da un bel po’, il momento di porre il tema all’ordine del
giorno di una riflessione sul piano del confronto culturale e politico, anche
se l’argomento potrà risultare un po’, indigesto per gli ambienti miopi legati
alle lobbies del potere pubblicitario.
La pubblicità telefonica.
Penso che tutti noi quasi
ogni giorno riceviamo telefonate, sia sull'apparecchio fisso che sul cellulare,
nelle quali ci vengono formulate proposte commerciali. Spesso queste telefonate
vengono anche effettuate con messaggi preregistrati in forma automatica.
Personalmente ritengo davvero offensivo che si tenti di contattare
telefonicamente le persone, non attraverso un contatto gestito da persone, ma
mediante forme automatizzate di messaggistica preregistrata. Un colloquio telefonico
è per sua natura una comunicazione interpersonale, che richiede per sua natura
l’interazione tra due persone. Il tentare di promuovere per via telefonica un
prodotto o un servizio, superando la relazione interpersonale che è alla base
del colloquio telefonico, lo ritengo offensivo. Tale pratica andrebbe, a mio
avviso, esplicitamente e chiaramente vietata.
Nessuna difficoltà
invece incontro nel confrontarmi telefonicamente con proposte di fruizione di
servizi o di prodotti formulate da persone. L’unico problema è dato dal numero
di proposte che vengono formulate. In alcune mattinate il telefono è davvero
bollente. Non è mio costume chiudere le conversazioni in maniera scortese, ma
spesso il numero di telefonate pubblicitarie ricevute mette seriamente in
discussione il tempo disponibile per le ordinarie attività della vita
personale.
Una marea di volantini.
Un altro versante
problematico della nostra relazione con la pubblicità è rappresentato
quotidianamente dal numero di volantini pubblicitari che riceviamo nella nostra
cassetta postale o quando ci rechiamo a fare la spesa. Leggere qualche
volantino non è un problema, ma trovare molto spesso la cassetta postale piena
di volantini e priva di spazio per l’ordinaria corrispondenza è altra cosa.
Molto spesso poiché la cassetta è già piena, i volantini vengono solo
appoggiati sulla cassetta stessa o lasciati a terra. E allora anche un leggero
alito di vento li disperde per strada. Diviene allora necessario raccattarli e
porli in una busta, in attesa del giorno settimanale dedicato allo smaltimento
della carta. In tale giorno ho la possibilità di verificare nel concreto che la
busta ad hoc è per oltre metà
occupata da volantini pubblicitari. Vista la quantità eccessiva ho posto sulla
cassetta postale un avviso col quale ho chiesto di non recapitarmi pubblicità.
Ma tale avviso non ha sortito effetto alcuno, i volantini hanno continuato ad arrivare
per cui, alla fine, ho tolto l’avviso. Non sarebbe il caso di prevedere un
limite quantitativo alla distribuzione di questi volantini? Ciò avrebbe senza
dubbio una ricaduta positiva sul consumo complessivo di carta.
La promozione in linea.
La pubblicità poi non
tralascia lo spazio che forse più caratterizza la nostra epoca, cioè l’ambito
della comunicazione in linea. La nostra navigazione in rete è pesantemente condizionata
dalla presenza pubblicitaria. Sono consapevole che molta della comunicazione in
Internet è possibile solo grazie agli introiti pubblicitari, ma credo che anche
in tal caso sia giusto non giungere ad eccessi quantitativi, che alla fine, per
il fastidio provocato agli utenti, genera atteggiamenti reattivi di rifiuto
degli stessi prodotti e servizi reclamizzati. Personalmente ho scelto di
evitare la consultazione di siti dove la pubblicità è eccessiva e la sua
presenza ridondante danneggia la regolare fruizione dei contenuti offerti e
quando è data la possibilità (che, a mio avviso, sarebbe doverosa sempre) di
oscurare gli annunci, in genere mi avvalgo di tale facoltà. Nell’uso della
comunicazione c.d. social (per es.
Facebook) evito il più possibile l’uso e il ricorso agli strumenti promozionali
ad essi connessi. In rete tuttavia la pubblicità non risparmia anche quella che
è diventata oggi la nostra principale, e forse più importante forma
comunicativa, cioè la posta elettronica, che posso affermare senza ragionevole
ombra di dubbio, ha di fatto soppiantato la tradizionale comunicazione postale.
La posta elettronica oggi, per ciascuno di noi non è un’opzione in più, ma è un
riferimento obbligato e necessario (basti solo pensare che quasi tutti noi
abbiamo ricevuto la convocazione per il vaccino mediante una mail). Non avere un recapito di posta
elettronica, oppure non usarlo o non consultarlo con regolarità, costituisce
per tutti noi una grave limitazione nelle ordinarie relazioni sociali e
comunicative. Non sono lontano dal vero dicendo che il suo non uso, rasenta
l’irraggiungibilità. Però è altrettanto vero che la posta elettronica risulta
invasa dalla pubblicità, che per la eccessiva quantità spesso copre o nasconde
la messaggistica vera. A parte l’enorme numero di messaggi pubblicitari che
vanno quotidianamente ad aggiungersi ai messaggi veri e utili (il loro
inserimento tra gli spam, ne limita
solo molto parzialmente il quantitativo totale). Un po’ tutte piattaforme di
posta elettronica, poi, permettono la lettura dei messaggi solo se affiancata o
contornata da messaggi pubblicitari e facciamo così fatica a leggere e a
prestare la dovuta attenzione al contenuto del messaggio pervenuto, con il
rischio concreto e reale che qualche messaggio importante possa non venir
letto.
Personalmente non avrei
nulla contro la presenza affiancata di un messaggio pubblicitario, ma spesso
siamo costretti a leggere i messaggi in una schermata dove sono
contemporaneamente presenti 4-5-6 messaggi promozionali sulle cose più diverse.
L’eccesso a mio avviso è sempre dannoso e anche controproducente. Sarebbe
pertanto utile l’adozione di misure normative adeguate che tutelino l’uso della
posta elettronica dai possibili danni derivanti ai cittadini dall’eccessiva
presenza di messaggi pubblicitari nei recapiti di posta elettronica.
La stampa e la pubblicità.
La pubblicità poi
tradizionalmente condiziona la stampa periodica e quotidiana. Alcune testate,
in particolare tra i periodici, dedicano pagine intere alla pubblicità, tanto
che la loro paginazione, se fosse considerata al netto della tara pubblicitaria
risulterebbe percentualmente molto inferiore a quella effettiva. Anche in
questo caso l’eccesso pubblicitario, oltre ad appesantire la pubblicazione, si
traduce in un eccesso di consumo di carta. Personalmente ho l’onore collaborare
con una piccola rivista, che però, per precisa scelta editoriale, non fa
ricorso alla pubblicità e vive solo ed esclusivamente grazie al sostegno
riconosciutole dai propri lettori grazie agli abbonamenti sottoscritti e all’acquisto
dei numeri pubblicati. È un’esperienza piccola, ma nella quale crediamo e
sinora i nostri lettori ci hanno permesso di operare. I conti non sono in
rosso, non possiamo fare lussi, ma andiamo avanti con fiducia. Fare a meno
della pubblicità, o, in alternativa, farne poca in una quantità umanamente
accettabile è cosa possibile, basta volerlo e crederci.
E, infine, la pubblicità in tv.
E veniamo, infine, veniamo
al campo dove la pervasività pubblicitaria si manifesta nella forma, a mio
avviso, più pesante e invasiva nella nostra quotidianità, cioè quello della
comunicazione televisiva. Nella programmazione televisiva la presenza della
pubblicità è ormai pressoché continua. Gli spot interrompono ripetutamente le
trasmissioni e messaggi pubblicitari sono presenti nelle stesse trasmissioni e
nelle fiction. Personalmente ho scelto di non seguire le cosiddette tv
commerciali che ufficialmente dovrebbero reggersi solo sugli introiti derivanti
dalla pubblicità. Per la verità sono stato aiutato in questa scelta dal
carattere decisamente scadente della loro programmazione. La pubblicità
tuttavia in tutte le tv danneggia gravemente sia gli utenti, che sono materialmente
bombardati da messaggi, sia la qualità delle trasmissioni, che viene con
difficoltà gustata dagli ascoltatori, sia, infine, la stessa finalità
promozionale della pubblicità per la generazione di un pesante feedback di rifiuto derivante
dall’eccesso comunicativo.
Oltre la quantità
eccessiva, nella pubblicità televisiva si registrano anche altre modalità di
erogazione che offendono gli ascoltatori.
Numerosi spot vengono
ripetuti tantissime volte a poca distanza temporale. Nel corso di una stessa
sera ci si ritrova a seguire a più riprese lo stesso identico messaggio
promozionale. È vero, come dicevano gli antichi latini “repetita iuvant”, è altrettanto vero, come completiamo noi
napoletani in latino maccheronico che “sed…
scocciant”. Non sarebbe una cattiva idea quella almeno di limitare le
ripetizioni.
È poi ormai abbastanza
normale che la tv accompagni i nostri pasti quotidiani. E allora può capitare
che mentre si sta gustando un piatto appetitoso, puntualmente arrivi uno spot
promozionale di un medicinale lassativo o lenitivo della prostatite, e allora
il piacere della tavola va a farsi benedire. Non ci vorrebbe molta capacità
programmatoria per evitare la messa in onda nelle ore, abitualmente destinati
ai pasti, di pubblicità poco adatte a tali momenti.
La messa in onda di spot
pubblicitari si accompagna, pressoché sempre a un consistente e spesso
fastidioso aumento dell’audio, che ci costringe a dover ricorrere al
telecomando per la conseguente sua regolazione, sia all’inizio che alla fine
dell’interruzione pubblicitaria. Non sarebbe, anche in questo caso, preferibile
evitare di modificare il livello dell’audio? La cosa per altro avrebbe anche
l’effetto di ridurre che il ricorso al telecomando, sia per noi anche
l’occasione per una carrellata sulle programmazioni contemporanee di altre
emittenti, col risultato di vanificare o almeno spezzettare gli stessi messaggi
pubblicitari.
È necessario che i pubblici poteri intervengano.
Personalmente penso che
a noi telespettatori debba essere riconosciuto il diritto sacrosanto di poter
decidere, di volta in volta, se vedere o meno la pubblicità, e di quale
quantità fruirne. Credo che sia un diritto indiscutibile di noi cittadini il
poter decidere di poter fruire di messaggi pubblicitari, o di decidere di non
fruirne, o ancora di decidere di fruirne nei tempi e nelle quantità volute.
Sono pertanto convinto che le istituzioni democratiche debbano affrontare con
serietà questo problema e operare affinché venga approntata e approvata una
legislazione che superi lo spezzettamento pulviscolare della pubblicità,
disponendo la necessità e l’obbligatorietà di concentrarla in modalità
tempistiche di erogazione (debitamente programmate e pubblicizzate) che
consenta agli ascoltatori di poter scegliere se fruirne o meno. Ciascuno di noi
così potrà scegliere se seguire o meno la pubblicità e di seguirne la quantità
desiderata e nei propri tempi di gradimento. Non credo che tale provvedimento
determinerebbe una fuga dalla fruizione della programmazione pubblicitaria,
sarebbe a mio avviso, oltre che un doveroso atto di rispetto per un diritto indiscutibile
di noi cittadini, anche una ghiotta occasione per un miglioramento della
qualità dei prodotti pubblicitari, decisamente fatta calare a picco
dall’eccesso quantitativo. Una maggiore cura della qualità unita a una
concentrazione temporale e a una riduzione dell’eccesso quantitativo non mancherà
di incidere positivamente sulla potenzialità promozionale e sulla capacità di
attrarre telespettatori.
Mi auguro che in un
prossimo futuro si possa sperare di poter lasciare la nostra attuale condizione
di massa di “dipendenza da spot” per addivenire a una matura e libera
opportunità di essere fruitori di una comunicazione promozionale pubblicitaria
responsabile e di qualità. Anche la nostra economia ne guadagnerà senza dubbio.
Le cose buone vanno gustate nei giusti modi e nella giusta quantità.
Vico Equense, lì 29 luglio 2021
Sergio
Sbragia