Sempre
sul tema delicatissimo dell’interdizione dalla mensa eucaristica attualmente
vigente nei confronti dei fedeli divorziati e risposati, in questi giorni ho
avuto la significativa opportunità di leggere un altro contributo di grande
rilievo, del quale consiglio senza dubbio la lettura:
Papa Francesco – Primo concistoro : Il Vangelo
della famiglia : La relazione Kasper e il dibattito sulla comunione ai
divorziati risposati / Giovanni Cereti. – «Il
Regno : quindicinale di attualità e documenti : Attualità», 59. (2014) 06, p.
148-150.
Come
per il pezzo di Raniero La Valle, del quale ho dato conto alcuni giorni fa,
anche quest’articolo di Giovanni Cereti (che ai temi della famiglia e del
matrimonio ha dedicato anni studio e di riflessione) prende l’avvio dalla
scelta di papa Francesco di conferire, nel quadro della prospettiva di
rinnovamento complessivo che sta proponendo all’intera comunità ecclesiale, una
priorità e un rilievo del tutto particolari ai temi del matrimonio e della
famiglia, che senza dubbio oggi sono investiti da dinamiche e tensioni che, sul
piano ecclesiale, non è possibile sottovalutare né continuare a ignorare.
Segno
di quest’orientamento di papa Francesco è la convocazione dell’Assemblea
straordinaria del Sinodo mondiale di vescovi, che si aprirà nel prossimo
autunno e dovrà concludersi nella seconda metà del 2015, e che, per le modalità
inedite di preparazione poste in atto e quelle di svolgimento previste, sembra
destinato a produrre, su tali temi di grande delicatezza umana e pastorale,
delle decisioni ampiamente sentite e condivise nel corpo ecclesiale.
Nella
consapevolezza della rilevanza nel quadro della vita cristiana dei temi del
matrimonio e della famiglia e della necessità di un adeguato tempo di maturazione
per consentire su tali temi un’autentica metànoia,
papa Francesco ha scelto che la riflessione in proposito fosse aperta da sùbito,
già nel Concistoro dello scorso febbraio, ove il tema è stato introdotto dal
card. Walter Kasper.
Nella
sua relazione introduttiva, in effetti, il card. Kasper ha posto in evidenza
come sia particolarmente importante essere capaci di riscoprire la lieta
novella di Gesù intorno alla famiglia. E questo è particolarmente vero
nell’odierna crisi antropologica e culturale che, accanto a un grande numero di
positive esperienze familiari, registra anche tanti casi di paura a dar vita a
una nuova famiglia, nonché tanti fallimenti di progetti di vita avviati anche
sotto i migliori auspicî.
Nella
prima parte della sua presentazione, dedicata alla «famiglia nell’ordine del
creato», il card. Kasper, richiamandosi all’insegnamento dell’apostolo Paolo in
Rm. 2,14-15 («Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo
la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano
che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza
della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li
difendono»), prende le mosse da una riflessione che considera la famiglia una
realtà e un istituto di diritto naturale, un’impostazione questa che può
favorire il dialogo intorno al rispetto della dignità di ogni persona
umana anche all’interno della famiglia.
Il card. Kasper, tuttavia, precisa che quanto è riconosciuto sul piano del
diritto naturale, riceve un’interpretazione concreta nella rivelazione, nella
seconda tavola del Decalogo, ma soprattutto grazie ai due racconti della creazione
di Genesi (cc. 1-2), che offrono la
rivelazione del disegno di Dio sull’uomo e sulla donna, creati a immagine di
Dio e donati da Dio l’uno per l’altra. Ciò non toglie che la Scrittura pone in
evidenza anche l’esperienza umana del peccato, che travolge anche i rapporti
fra uomo e donna e la stessa realtà della famiglia. La rivelazione cristiana
mostra poi come Gesù assuma il matrimonio e la famiglia nell’ordine della
redenzione dell’umanità, tanto che «l’alleanza stretta tra i coniugi diventa
segno e sacramento dell’alleanza di Dio con il suo popolo che si è compiuta in
Gesù Cristo».
Entrando
più nel merito degli aspetti di maggiore problematicità del matrimonio, che
come sacramento è sia via di guarigione dal peccato, sia àmbito di effusione
della grazia, il card. Kasper sottolinea come afferisca alla dimensione più
piena della dignità della persona umana la possibilità di poter assumere delle
decisioni definitive, che contrassegnano in forma permanente la storia
personale. È tuttavia verificabile che è
concreta esperienza umana anche il venir talora meno a scelte di dimensioni
definitive. Ciononostante è necessario
aver presente che, grazie alla misericordia di Dio, sono sempre possibili il
perdono, la guarigione e un nuovo inizio.
A
questo punto, nel quadro della presentazione della famiglia come chiesa domestica,
si ricorda «che ogni cristiano, sposato o no, abbandonato dal proprio partner o
cresciuto da bambino o da giovane senza
contatti con la propria famiglia, non è mai solo o smarrito, è di casa in una
nuova famiglia di fratelli e sorelle», la comunità ecclesiale. In effetti, il
Vangelo della famiglia trova la sua concretizzazione nella chiesa domestica e
non bisogna dimenticare che la chiesa dei primi secoli si è incarnata proprio
nelle chiese domestiche, che, sia pur in forme diverse si sono riproposte in
tutte le epoche e fino a oggi.
Giungendo
ad affrontare il problema dei divorziati risposati, il card. Kasper, pur
evidenziando che si tratta di un problema relativamente nuovo, sorto dopo
l’introduzione nelle nostre società dell’istituto del matrimonio civile,
sottolinea con forza che è un problema che va affrontato nel contesto di una
pastorale matrimoniale e familiare globalmente considerata. A questo proposito assume
una posizione molto chiara: «tutti sanno che esistono situazioni in cui ogni
ragionevole tentativo di salvare un matrimonio risulta vano. L’eroismo dei
coniugi abbandonati che rimangono soli e vanno avanti da soli merita la nostra
ammirazione e sostegni. Ma molti coniugi abbandonati dipendono, per il bene dei
figlî, da un nuovo rapporto e da un matrimonio civile, al quale non possono
rinunciare senza nuove colpe. Spesso, dopo le esperienze amare del passato,
queste relazioni fanno provare loro nuova gioia, addirittura talvolta vengono
percepite, come dono dal cielo».
Di
fronte a questa realtà il card. Kasper sottolinea la piena consapevolezza del
non poter venir meno alle parole del Signore sul matrimonio e alla tradizione viva
della Chiesa, ma anche dell’esigenza di essere pienamente fedeli alla misericordia
di Dio, per la quale non esiste situazione umana che sia assolutamente priva di
speranza e di soluzione. Questa situazione ricorda, secondo il card. Kasper, una
situazione in parte analoga con quella vissuta dalla comunità ecclesiale
all’epoca del Concilio ecumenico Vaticano 2°. Anche allora, in merito a temi di grande rilevanza quali
l’ecumenismo e la libertà religiosa, ci si venne a trovare dinanzi a encicliche
e decisioni del Sant’Uffizio che sembravano precludere ogni possibile
evoluzione. L’assemblea conciliare, di fronte alle sollecitazioni ineludibili
provenienti dalla società dell’epoca, con l’assistenza dello Spirito, seppe
individuare i sentieri più adatti per rispondere alle nuove esigenze proposte
dalla storia senza venir meno alla tradizione della fede apostolica.
Un
compito analogo si pone oggi dinanzi alla comunità ecclesiale proprio a proposito
della questione dei fedeli divorziati e risposati. Rispetto a questa sfida il
card. Kasper, premettendo che non si può individuare una soluzione univoca valida
per ogni caso, visto che i casi sono notevolmente differenti tra loro, propone
due possibili piste di soluzione.
La prima ipotesi di soluzione riguarda l’attività dei tribunali
ecclesiastici nel giudicare le eventuali ragioni di nullità matrimoniale, nei
cui riguardi sottolinea l’esigenza di considerare se può realmente sussistere
la realtà sacramentale del matrimonio, se questo viene contratto senza fede o
senza la piena e consapevole accettazione dei valori della fedeltà e
dell’indissolubilità quali tratti essenziali del matrimonio cristiano.
In
merito a questa prima pista di soluzione, proposta dal card. Kasper, mi sembra
opportuno richiamare la sostanziale messa in guardia operata da Raniero La Valle
nel suo contributo Gesù e la donna dai
cinque mariti, di cui ho dato conto mia riflessione di sabato 26 aprile
scorso. La Valle sostiene che quella dell’estensione oltre misura dei casi di
nullità matrimoniale sarebbe una falsa soluzione. Negando la piena realtà
sacramentale di un maggior numero di matrimonî, rispetto a quanto avviene oggi,
solo in apparenza si darebbe una risposta al vero problema che si pone.
Certamente molti coniugi cristiani potrebbero risposarsi, le componenti
ecclesiali contrarie a un’evoluzione dottrinale vedrebbero pienamente salvaguardato
il principio dell’indissolubilità e la struttura istituzionale della Chiesa
manterrebbe la potestà di pronunciarsi al più alto livello in materia di
validità e nullità matrimoniale. Ma, a giudizio di La Valle, sul piano etico è
di certo più significativo un divorzio contrassegnato dalla sofferenza e dal
riconoscimento di un insuccesso piuttosto che la possibile finzione di un
matrimonio reale e ricco di valori negato come non sussistente sin dall’origine.
D’altronde anche lo stesso card. Kasper è convinto che «molti divorziati non
vogliono la dichiarazione di nullità. Dicono: abbiamo vissuto insieme, abbiamo
avuto figlî; questa era una realtà, che non si può dichiarare nulla, spesso
solo per ragione di mancanza di forma canonica del primo matrimonio». Allora
appare inevitabile confrontarsi con la vera questione, che è quella
dell’avvenuta dissoluzione di un matrimonio tra battezzati, pienamente valido sotto
il profilo della disciplina canonica, che tuttavia non è riuscito a mantenere
nel tempo la stabilità del legame coniugale.
La seconda pista di soluzione, suggerita dal card. Kasper, fa
invece diretto riferimento alla prassi penitenziale della Chiesa antica, che soleva
offrire un’opportunità di salvezza anche ai responsabili dei peccati più gravi.
È il caso, per esempio, dell’atteggiamento assunto nei confronti di fedeli che avevano
compiuto gesti oggetto di grave considerazione morale, quali l’apostasia nel corso
di una persecuzione (è il caso dei cosiddetti lapsi) e l’adulterio, inteso come abbandono del coniuge per
contrarre un altro matrimonio. Questo atteggiamento di tolleranza è testimoniato
da varî padri della Chiesa, poiché questa prassi assunse una notevole rilevanza
nel corso della controversia con l’impostazione rigorista praticata dai
novaziani (seguaci dell’antipapa Novaziano del 3° sec.), che escludevano nella
forma più assoluta dalla comunione apostati, omicidi e adulteri, anche se profondamente
pentiti. Questa linea pastorale tollerante fu inoltre riconfermata, sempre in
contrapposizione ai novaziani, anche nel Concilio di Nicea. Il canone 8 di
questo Concilio, subordinava la riammissione dei novaziani alla comunione
ecclesiale all’esplicita sottoscrizione di un impegno a «essere in comunione
(ecclesiale ed eucaristica, secondo il nostro linguaggio) con coloro che vivono
un secondo matrimonio e con coloro che sono caduti nella persecuzione, una
volta che hanno osservato il tempo della penitenza e sono stati riconciliati».
La
realtà della Chiesa del 4° sec. (epoca del Concilio di Nicea) presenta un singolare
aspetto di analogia con la situazione attuale. Allora, come oggi, i cristiani vivevano
in un contesto sociale variegato, ove pagani ed ebrei ammettevano normalmente
forme di scioglimento del matrimonio (sia che fosse la pratica del ripudio e
quella del divorzio). Di conseguenza era frequente che i cristiani si trovassero,
anche nelle stesse comunità, fianco a fianco con fedeli che potevano aver fatto
esperienza di scioglimento del vincolo matrimoniale. Rispetto a questa realtà
il canone 8 di Nicea costituisce una chiara attestazione di una prassi consolidata
nella Chiesa cattolica e apostolica dell’epoca in base alla quale si riammetteva
nella comunità, dopo un preciso itinerario penitenziale, gli apostati nella
persecuzione e quanti vivevano un secondo matrimonio (tra i quali numerosi dovevano
essere anche quanti oggi chiameremmo divorziati risposati).
Prendere
sul serio quanto a suo tempo riconosciuto con il canone 8 di Nicea, significherebbe,
a giudizio di Giovanni Cereti, «riconoscere alla Chiesa il potere di rimettere
tutti i peccati, compreso il gravissimo peccato definito come adulterio nell’Evangelo.
Gesù ha ricordato come la monogamia assoluta sia conforme al disegno del Creatore,
ma non ha mai dichiarato che questo peccato di adulterio debba essere
considerato un peccato contro lo Spirito Santo, non remissibile da chi nella
Chiesa ha ricevuto il potere di legare e di sciogliere, per cui questo potere
veniva a ragione rivendicato dalla Chiesa dei primi secoli».
Le
proposte avanzate dal card. Kasper nel corso del Concistoro hanno naturalmente
sollevato numerose obiezioni da parte delle componenti ecclesiali più intransigenti.
Nella riflessione che nei prossimi mesi vedrà impegnato l’intero corpo ecclesiale,
Giovanni Cereti, sottolineando che nessuno intende porre in discussione il
valore dell’indissolubilità di un matrimonio sacramentale rato e consumato,
invita a che questo insegnamento sia compreso in piena coerenza con il
messaggio di Gesù sull’infinita misericordia di Dio per chiunque si converte. L’altro
invito è quello a tener conto dell’intera tradizione della Chiesa che, come
abbiamo visto, sull’argomento in questione non è così unilineare, come a prima
vista potrebbe sembrare.
In
conclusione, il contributo di Giovanni Cereti si segnala un ottimo approfondimento
del delicato tema della possibile riammissione alla mensa eucaristica dei
fratelli divorziati e risposati. Fornisce una ricca messe d’informazioni
circostanziate. È davvero consigliabile leggerlo per avere un quadro chiaro
della questione.
La
comunità ecclesiale nel lontano 4° secolo seppe reagire con sapienza pastorale
alle derive rigoriste d’ispirazione novaziana. Saprà fare altrettanto la Chiesa
del 21° secolo? Io sono convinto di sì!
Sergio Sbragia
Vico Equense, martedì 29 aprile 2014