Caro Matteo,
ho l’abitudine
d’esprimere con chiarezza il mio pensiero, perciò voglio precisare che sono,
non da oggi, un convinto sostenitore del Partito Democratico. Alle ultime
“Primarie” non ho votato per te, ma ho accettato l’esito della consultazione e
ho gioito per l’affermazione registrata dal PD alle ultime elezioni europee;
una consultazione che ha premiato quella che al momento si è presentata agli
elettori pressoché come l’unica forza politica convintamente europeista.
Il
Partito Democratico, a differenza di altre forze politiche, è nato e si è nel
tempo caratterizzato come un soggetto politico plurale frutto della convergenza
di una molteplicità di culture ed esperienze politiche diverse, con un comune
denominatore, che scommettono sulla capacità e sulla fruttuosità dello stare insieme,
sul fattore in più derivante dalla contaminazione positiva dovuta all’interazione
tra idee e culture diverse. Connotato qualitativo di grande importanza che
segna la differenza e la preferibilità della proposta del PD, rispetto a quella
di altre forze politiche a conduzione monarchica (quali, per esempio, Forza
Italia o il Movimento 5 Stelle), o che scelgono un riferimento meramente
personalistico finanche nel simbolo elettorale (si pensi, per esempio, ai vari
nomi di leaders che, con scarso senso dell’eleganza, ricorrono nelle schede
elettorali). Certe cose sono anche “questione di stile”.
La
valorizzazione della diversità è certamente una sfida impegnativa, ma è una
scommessa decisiva che il Partito democratico non può perdere, pena condannare
definitivamente il paese alle logiche di accaparramento personalistico del
potere pubblico, cui ci ha abituato il ventennio berlusconiano. Il paese cerca
faticosamente di venir fuori dal grigio ventennio di regime che ha
profondamente segnato e minato la democraticità delle istituzioni. È un impegno
decisivo che non può essere disatteso.
Tuttavia
una serie di scelte da te operate e alcune prese di posizioni assunte negli
ultimi giorni mi hanno indotto a manifestare pubblicamente, con questo mio
scritto, il mio pensiero.
Con la
consultazione delle “Primarie”, una pratica che distingue in positivo il PD da
altre forze politiche, sei stato legittimamente designato Segretario del
partito. Non ho tuttavia condiviso la successiva scelta di cumulare, al già
impegnativo compito di Segretario politico, anche quello di Presidente del
Consiglio dei Ministri. Elementari considerazioni dovrebbero porre
inevitabilmente in evidenza l’impossibilità materiale, per una persona singola,
di sostenere i compiti dell’uno e dell’altro incarico, che per loro natura non
possono essere sviliti a impegni “part-time”. Né, a tale scopo, può risultare
comprensibile il ricorso ai sotterfugî di subappaltare compiti a figure
incognite di ghost-secretary. Ma quel che è più grave è la confusione
istituzionale che una tale scelta determina. In primo luogo si configura un
disattendimento del mandato da te ricevuto dagli elettori delle Primarie, che
ti hanno designato come Segretario politico del partito e che, quindi,
legittimamente si attendono da te un impegno a tempo pieno in tale funzione e
non lo scadimento della stessa a un impegno part-time. In secondo luogo si
determina una confusione tra il ruolo istituzionale del partito e quello del
governo. Partito e governo sono due istituti diversi, chi ne è alla guida ne ha
la rappresentanza. Il far ricadere la rappresentanza di questi due istituti sulla
stessa persona determina ipso-facto uno stato di conflitto. In concreto, quando
fai una qualunque dichiarazione non si percepisce mai se stai parlando a nome
del governo o a nome del partito e a nulla vale il precisarlo di volta in
volta. Non è una questione secondaria. Il partito esprime un orientamento
politico che ha ricevuto il consenso elettorale di una parte della popolazione
italiana. Il governo esprime un programma operativo che è il frutto di un
compromesso (nel senso positivo del termine) e di un contemperamento tra
proposte diverse provenienti da più forze politiche. Le due cose non possono
ricadere sulla stessa persona. Le possibili conseguenze sono tre: o viene
rappresentato il programma del governo e dimenticato quello del partito; o, in alternativa,
viene posto l’accento maggiormente sul programma di partito e si disattendono
gl’impegni di governo; o, infine, si oscilla indefinitamente tra l’uno e
l’altro danneggiando il partito e, allo stesso tempo, facendo pessima azione di
governo.
Per questo
ti chiedo di decidere, per il bene dell’attività di governo e per il dovuto
rispetto al partito, di operare una scelta doverosa tra i due incarichi che
gravano sulla tua persona. Una delle due funzioni (quella di premier e quella
di segretario) devi lasciarla ad altri. E questa non è una scelta opzionale, ma
è un passaggio obbligatorio, esigita dalla cultura democratica del nostro
partito, dove non si giocano partite “all’asso pigliatutto”.
A
quest’esigenza primaria si aggiungono alcune tue dichiarazioni, pronunziate in
occasione della recente kermesse della Leopolda, che ho avuto modo di ascoltare
negli ultimi giorni. Mi è capitato di ascoltare dalla tue labbra un’espressione
in cui ti sei vantato dicendo: «Ci siamo presi il partito!». E in un altro momento
hai affermato qualcosa che, a mia memoria, suonava piò meno come: «Non
riconsegneremo il partito chi lo ha gestito male in precedenza». Queste due
espressioni sono il segno di una cultura dell’appropriazione del partito da
parte di una componente, che concepisce il partito come una proprietà personale
o di un gruppo di potere e non una casa comune, dove c’è una maggioranza e
delle minoranze alle quali è doveroso riconoscere il dovuto rispetto, che non
può essere declinato in termini d’insulto. Il rispetto delle minoranze è un
principio primario della democrazia, che ricade in primo luogo sulle
maggioranze (alla minoranza, come parte più debole, in genere, si perdona una certa aggressività di toni).
Il fatto che tale principio rischî di essere negato nel Partito “Democratico”,
costringendo la minoranza alla scissione sarà un regalo per le forze politiche
a struttura “Monarchica” che avranno gioco facile a far credere agli elettori
che la democrazia non è realizzabile nei fatti. Alla luce di queste considerazioni
mi sembrano davvero una mossa suicida alcune altre tue dichiarazioni in cui hai
sfidato le minoranze del partito a uscire dal partito stesso e a costruire
nuovi soggetti politici a sinistra.
Mi
auguro davvero che tu voglia in concreto considerare la pericolosità, non tanto
per il partito quanto per il paese, delle posizioni da te assunte negli ultimi
giorni. Il risultato certo sarà quello di riconsegnare il potere al Sig.
Berlusconi. La politica si fa costruendo consenso, valorizzando il positivo,
scadere negli insulti, banalizzare il dibattito politico con battute da
osteria, riciclare arcaiche e perdenti ricette liberiste verniciandole al web,
significa incamminarsi su sentieri privi di prospettiva.
E che
dire infine della ventata antisindacale a cui hai dato fiato nelle ultime
settimane, dimenticando che il lavoro è il primo e fondamentale valore
costituzionale e che la libertà di aggregazione sindacale è un diritto
costituzionalmente garantito.
Sono poi
gravissime le accuse prive di fondamento, anzi del tutto false, con cui hai
cercato di attribuire ai lavoratori e al sindacato la volontà di contrapporsi
alle nuove figure lavorative (precari, collaboratori a contratti specifici,
partite iva, ecc.). Queste affermazioni sono autentiche menzogne. Negli ultimi
anni sono stati i poteri forti della pirateria finanziaria speculativa a creare
le condizioni per la diffusione di queste figure lavorative costrette a rinunciare
a gran parte dei proprî irrinunciabili inalienabili
diritti. Di fronte a questa realtà di autentica violazione della dignità umana,
in questi anni, le uniche voci di solidarietà sono state quelle del sindacato e
quella della comunità ecclesiale (“Negare la giusta mercede all’operaio è un
peccato gravissimo”). Accusare il sindacato di fare due pesi e due misure tra
lavoratori garantiti significa dire il falso. Quando un politico, per affermare
la propria posizione politica, è costretto a ricorrere alle bugia, esprime di
fatto una posizione di grande debolezza. La pratica dei due pesi e delle due
misure è, invece, proprio quella posta in essere dalla pirateria finanziaria: (“la
ricchezza smodata per me e la povertà per gli altri”).
Del
tutto ingiustificato è poi l’attacco all’art. 18 dello statuto dei lavoratori.
L’articolo in questione ha introdotto nella legislazione italiana un principio
di grande e nobile civiltà giuridica, quello di consentire il licenziamento
solo in presenza di una giusta causa. È un principio di ragionevolezza, che, se
si riflette bene, di fatto presiede a ogni comportamento umano legittimo: si fa
qualcosa se c’è una giusta ragione per farla. Quando un’azione, anche al di
fuori del diritto del lavoro, è frutto di mero arbitrio, di volontà di potenza,
di narcisismo, di arroganza, è in genere sbagliata ed è oggetto ordinariamente
della disapprovazione da parte del corpo sociale. Non si comprende perché un
principio di grande ragionevolezza e di elevatissima cultura giuridica, quale
quello della “giusta causa”, incontri tanta ostinata e immotivata opposizione.
Sarebbe invece auspicabile impegnarsi tutti insieme per estendere questo
principio anche a difesa delle categorie di lavoratori che, purtroppo, oggi ne
sono privi. Su questo i lavoratori e i sindacati sono impegnati da anni,
sarebbe auspicabile che anche tu e la componente maggioritaria del PD vi uniste
a questo impegno di giustizia e di uguaglianza. È una battaglia di giustizia e
di uguaglianza che va condotta e a cui ci invita anche la liturgia festiva di ieri
mattina, che ci ha solennemente annunciato: «Beati i perseguitati per causa
della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt. 5,10).
Dare
spazio al clima che intende individuare nel sindacato e nei lavoratori, cioè
nell’Italia che lavora e produce (e non fa pirateria finanziaria), il capro
espiatorio della condizione di crisi del paese, è un gesto di grande
irresponsabilità, cha, a sua volta, apre la strada alle operazioni autoritarie
del centro destra, che immediatamente ha colto l’occasione per orchestrare criminali
azioni di violenza organizzate e premeditate contro lavoratori e cittadini
inermi che chiedevano solo il rispetto dei proprî diritti.
Onestamente
tra l’Italia che lavora, produce e s’impegna e le pretese di ingiusti privilegî
avanzate da circoli della pirateria finanziaria, non ho dubbî su quale sia la parte
per la quale schierarsi. Allo stesso modo non nutro alcun dubbio, per esempio,
in merito alla vertenza che interessa i lavoratori dell’acciaieria di Terni: io
sto con i lavoratori in lotta per difendere il lavoro e la produzione e non posso
solidarizzare con le barbare violenze ordinate contro di loro, né tantomeno
posso essere complice di un gruppo finanziario già tristemente noto alle
cronache italiane per i roghi umani di Torino.
Allora
ritengo che tu debba fare appello alla tua più alta capacita e sapienza
politica, saper trovare un ponte di solidarietà tra le pulsioni espresse alla
Leopolda e i valori e l’iniziativa di giustizia sociale posta in campo dalle
centinaia e centinaia di migliaia di lavoratori convenuti la scorsa settimana a
piazza San Giovanni a Roma. Sta a te e alla tua capacità individuare l’itinerario
per conseguire questo risultato, ponendo mano a una revisione dell’impalcatura del
Job-act, in direzione di una cultura di estensione del diritto e inaugurando
una stagione di lotta senza quartiere contro i circoli internazionali di
pirateria finanziaria, quelli che lucrano affari d’oro sui dolorosi effetti
della crisi e produce milioni di disoccupati e tantissimi nuovi poveri, determinando
un’ingiustificata concentrazione di ricchezze in pochissime mani, senza che ciò
sia la remunerazione di prodotti o servizi reali.
A questo
ti chiama l’incarico di Presidente del Consiglio: lottare con decisione e senza
cedimenti contro la pirateria finanziaria, non concedere respiro alle pressioni
lobbistiche che questi circoli immancabilmente faranno sentire.
L’invito
che ti rivolgo è quello di non nascondere il tuo talento sottoterra, ma di spenderlo
invece con coraggio nel modo giusto, senza timore, creando occasioni di
confronto e contaminazione positiva di energie, forze e protagonismi diversi
per far emergere quanto di bello ed esaltante è nascosto nel paese, senza
possibilità di venire allo scoperto.
Non
intestardirti nel vicolo cieco di contare solo sulle tue forze e sulle
indicazioni errate di ristretti, quanto potenti, circoli di cattivi consiglieri
a percorrere le consuete e fallimentari vie dell’isolamento in gruppi ristretti
e fatalmente perdenti. La testardaggine è il peggior difetto che può colpire un
uomo politico, un difetto che impedisce di dare libero spazio alla riflessione
ponderata e responsabile e alla conseguente e serena valutazione delle scelte
più giuste da compiere per il bene del paese. Una simile ostinazione a non
voler prendere in considerazione i caratteri nuovi assunti dal confronto
politico e dalle esigenze del paese, ti vedrebbe indossare proprio i panni di
quella figura da te evocata in un recente discorso quando hai fatto riferimento
a una persona che insiste a cercare nel cellulare la fessura in cui inserire il
gettone.
Ti aspetto alla prova dei fatti
Vico Equense, domenica 2 novembre 2014
Sergio Sbragia
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