sabato 1 novembre 2014

Lettera aperta a Matteo Renzi



Caro Matteo,


ho l’abitudine d’esprimere con chiarezza il mio pensiero, perciò voglio precisare che sono, non da oggi, un convinto sostenitore del Partito Democratico. Alle ultime “Primarie” non ho votato per te, ma ho accettato l’esito della consultazione e ho gioito per l’affermazione registrata dal PD alle ultime elezioni europee; una consultazione che ha premiato quella che al momento si è presentata agli elettori pressoché come l’unica forza politica convintamente europeista.
Il Partito Democratico, a differenza di altre forze politiche, è nato e si è nel tempo caratterizzato come un soggetto politico plurale frutto della convergenza di una molteplicità di culture ed esperienze politiche diverse, con un comune denominatore, che scommettono sulla capacità e sulla fruttuosità dello stare insieme, sul fattore in più derivante dalla contaminazione positiva dovuta all’interazione tra idee e culture diverse. Connotato qualitativo di grande importanza che segna la differenza e la preferibilità della proposta del PD, rispetto a quella di altre forze politiche a conduzione monarchica (quali, per esempio, Forza Italia o il Movimento 5 Stelle), o che scelgono un riferimento meramente personalistico finanche nel simbolo elettorale (si pensi, per esempio, ai vari nomi di leaders che, con scarso senso dell’eleganza, ricorrono nelle schede elettorali). Certe cose sono anche “questione di stile”.
La valorizzazione della diversità è certamente una sfida impegnativa, ma è una scommessa decisiva che il Partito democratico non può perdere, pena condannare definitivamente il paese alle logiche di accaparramento personalistico del potere pubblico, cui ci ha abituato il ventennio berlusconiano. Il paese cerca faticosamente di venir fuori dal grigio ventennio di regime che ha profondamente segnato e minato la democraticità delle istituzioni. È un impegno decisivo che non può essere disatteso.
Tuttavia una serie di scelte da te operate e alcune prese di posizioni assunte negli ultimi giorni mi hanno indotto a manifestare pubblicamente, con questo mio scritto, il mio pensiero.
Con la consultazione delle “Primarie”, una pratica che distingue in positivo il PD da altre forze politiche, sei stato legittimamente designato Segretario del partito. Non ho tuttavia condiviso la successiva scelta di cumulare, al già impegnativo compito di Segretario politico, anche quello di Presidente del Consiglio dei Ministri. Elementari considerazioni dovrebbero porre inevitabilmente in evidenza l’impossibilità materiale, per una persona singola, di sostenere i compiti dell’uno e dell’altro incarico, che per loro natura non possono essere sviliti a impegni “part-time”. Né, a tale scopo, può risultare comprensibile il ricorso ai sotterfugî di subappaltare compiti a figure incognite di ghost-secretary. Ma quel che è più grave è la confusione istituzionale che una tale scelta determina. In primo luogo si configura un disattendimento del mandato da te ricevuto dagli elettori delle Primarie, che ti hanno designato come Segretario politico del partito e che, quindi, legittimamente si attendono da te un impegno a tempo pieno in tale funzione e non lo scadimento della stessa a un impegno part-time. In secondo luogo si determina una confusione tra il ruolo istituzionale del partito e quello del governo. Partito e governo sono due istituti diversi, chi ne è alla guida ne ha la rappresentanza. Il far ricadere la rappresentanza di questi due istituti sulla stessa persona determina ipso-facto uno stato di conflitto. In concreto, quando fai una qualunque dichiarazione non si percepisce mai se stai parlando a nome del governo o a nome del partito e a nulla vale il precisarlo di volta in volta. Non è una questione secondaria. Il partito esprime un orientamento politico che ha ricevuto il consenso elettorale di una parte della popolazione italiana. Il governo esprime un programma operativo che è il frutto di un compromesso (nel senso positivo del termine) e di un contemperamento tra proposte diverse provenienti da più forze politiche. Le due cose non possono ricadere sulla stessa persona. Le possibili conseguenze sono tre: o viene rappresentato il programma del governo e dimenticato quello del partito; o, in alternativa, viene posto l’accento maggiormente sul programma di partito e si disattendono gl’impegni di governo; o, infine, si oscilla indefinitamente tra l’uno e l’altro danneggiando il partito e, allo stesso tempo, facendo pessima azione di governo.
Per questo ti chiedo di decidere, per il bene dell’attività di governo e per il dovuto rispetto al partito, di operare una scelta doverosa tra i due incarichi che gravano sulla tua persona. Una delle due funzioni (quella di premier e quella di segretario) devi lasciarla ad altri. E questa non è una scelta opzionale, ma è un passaggio obbligatorio, esigita dalla cultura democratica del nostro partito, dove non si giocano partite “all’asso pigliatutto”.
A quest’esigenza primaria si aggiungono alcune tue dichiarazioni, pronunziate in occasione della recente kermesse della Leopolda, che ho avuto modo di ascoltare negli ultimi giorni. Mi è capitato di ascoltare dalla tue labbra un’espressione in cui ti sei vantato dicendo: «Ci siamo presi il partito!». E in un altro momento hai affermato qualcosa che, a mia memoria, suonava piò meno come: «Non riconsegneremo il partito chi lo ha gestito male in precedenza». Queste due espressioni sono il segno di una cultura dell’appropriazione del partito da parte di una componente, che concepisce il partito come una proprietà personale o di un gruppo di potere e non una casa comune, dove c’è una maggioranza e delle minoranze alle quali è doveroso riconoscere il dovuto rispetto, che non può essere declinato in termini d’insulto. Il rispetto delle minoranze è un principio primario della democrazia, che ricade in primo luogo sulle maggioranze (alla minoranza, come parte più debole, in genere,  si perdona una certa aggressività di toni). Il fatto che tale principio rischî di essere negato nel Partito “Democratico”, costringendo la minoranza alla scissione sarà un regalo per le forze politiche a struttura “Monarchica” che avranno gioco facile a far credere agli elettori che la democrazia non è realizzabile nei fatti. Alla luce di queste considerazioni mi sembrano davvero una mossa suicida alcune altre tue dichiarazioni in cui hai sfidato le minoranze del partito a uscire dal partito stesso e a costruire nuovi soggetti politici a sinistra.
Mi auguro davvero che tu voglia in concreto considerare la pericolosità, non tanto per il partito quanto per il paese, delle posizioni da te assunte negli ultimi giorni. Il risultato certo sarà quello di riconsegnare il potere al Sig. Berlusconi. La politica si fa costruendo consenso, valorizzando il positivo, scadere negli insulti, banalizzare il dibattito politico con battute da osteria, riciclare arcaiche e perdenti ricette liberiste verniciandole al web, significa incamminarsi su sentieri privi di prospettiva.
E che dire infine della ventata antisindacale a cui hai dato fiato nelle ultime settimane, dimenticando che il lavoro è il primo e fondamentale valore costituzionale e che la libertà di aggregazione sindacale è un diritto costituzionalmente garantito.
Sono poi gravissime le accuse prive di fondamento, anzi del tutto false, con cui hai cercato di attribuire ai lavoratori e al sindacato la volontà di contrapporsi alle nuove figure lavorative (precari, collaboratori a contratti specifici, partite iva, ecc.). Queste affermazioni sono autentiche menzogne. Negli ultimi anni sono stati i poteri forti della pirateria finanziaria speculativa a creare le condizioni per la diffusione di queste figure lavorative costrette a rinunciare a gran parte dei proprî  irrinunciabili inalienabili diritti. Di fronte a questa realtà di autentica violazione della dignità umana, in questi anni, le uniche voci di solidarietà sono state quelle del sindacato e quella della comunità ecclesiale (“Negare la giusta mercede all’operaio è un peccato gravissimo”). Accusare il sindacato di fare due pesi e due misure tra lavoratori garantiti significa dire il falso. Quando un politico, per affermare la propria posizione politica, è costretto a ricorrere alle bugia, esprime di fatto una posizione di grande debolezza. La pratica dei due pesi e delle due misure è, invece, proprio quella posta in essere dalla pirateria finanziaria: (“la ricchezza smodata per me e la povertà per gli altri”).
Del tutto ingiustificato è poi l’attacco all’art. 18 dello statuto dei lavoratori. L’articolo in questione ha introdotto nella legislazione italiana un principio di grande e nobile civiltà giuridica, quello di consentire il licenziamento solo in presenza di una giusta causa. È un principio di ragionevolezza, che, se si riflette bene, di fatto presiede a ogni comportamento umano legittimo: si fa qualcosa se c’è una giusta ragione per farla. Quando un’azione, anche al di fuori del diritto del lavoro, è frutto di mero arbitrio, di volontà di potenza, di narcisismo, di arroganza, è in genere sbagliata ed è oggetto ordinariamente della disapprovazione da parte del corpo sociale. Non si comprende perché un principio di grande ragionevolezza e di elevatissima cultura giuridica, quale quello della “giusta causa”, incontri tanta ostinata e immotivata opposizione. Sarebbe invece auspicabile impegnarsi tutti insieme per estendere questo principio anche a difesa delle categorie di lavoratori che, purtroppo, oggi ne sono privi. Su questo i lavoratori e i sindacati sono impegnati da anni, sarebbe auspicabile che anche tu e la componente maggioritaria del PD vi uniste a questo impegno di giustizia e di uguaglianza. È una battaglia di giustizia e di uguaglianza che va condotta e a cui ci invita anche la liturgia festiva di ieri mattina, che ci ha solennemente annunciato: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt. 5,10).
Dare spazio al clima che intende individuare nel sindacato e nei lavoratori, cioè nell’Italia che lavora e produce (e non fa pirateria finanziaria), il capro espiatorio della condizione di crisi del paese, è un gesto di grande irresponsabilità, cha, a sua volta, apre la strada alle operazioni autoritarie del centro destra, che immediatamente ha colto l’occasione per orchestrare criminali azioni di violenza organizzate e premeditate contro lavoratori e cittadini inermi che chiedevano solo il rispetto dei proprî diritti.
Onestamente tra l’Italia che lavora, produce e s’impegna e le pretese di ingiusti privilegî avanzate da circoli della pirateria finanziaria, non ho dubbî su quale sia la parte per la quale schierarsi. Allo stesso modo non nutro alcun dubbio, per esempio, in merito alla vertenza che interessa i lavoratori dell’acciaieria di Terni: io sto con i lavoratori in lotta per difendere il lavoro e la produzione e non posso solidarizzare con le barbare violenze ordinate contro di loro, né tantomeno posso essere complice di un gruppo finanziario già tristemente noto alle cronache italiane per i roghi umani di Torino.
Allora ritengo che tu debba fare appello alla tua più alta capacita e sapienza politica, saper trovare un ponte di solidarietà tra le pulsioni espresse alla Leopolda e i valori e l’iniziativa di giustizia sociale posta in campo dalle centinaia e centinaia di migliaia di lavoratori convenuti la scorsa settimana a piazza San Giovanni a Roma. Sta a te e alla tua capacità individuare l’itinerario per conseguire questo risultato, ponendo mano a una revisione dell’impalcatura del Job-act, in direzione di una cultura di estensione del diritto e inaugurando una stagione di lotta senza quartiere contro i circoli internazionali di pirateria finanziaria, quelli che lucrano affari d’oro sui dolorosi effetti della crisi e produce milioni di disoccupati e tantissimi nuovi poveri, determinando un’ingiustificata concentrazione di ricchezze in pochissime mani, senza che ciò sia la remunerazione di prodotti o servizi reali.
A questo ti chiama l’incarico di Presidente del Consiglio: lottare con decisione e senza cedimenti contro la pirateria finanziaria, non concedere respiro alle pressioni lobbistiche che questi circoli immancabilmente faranno sentire.
L’invito che ti rivolgo è quello di non nascondere il tuo talento sottoterra, ma di spenderlo invece con coraggio nel modo giusto, senza timore, creando occasioni di confronto e contaminazione positiva di energie, forze e protagonismi diversi per far emergere quanto di bello ed esaltante è nascosto nel paese, senza possibilità di venire allo scoperto.
Non intestardirti nel vicolo cieco di contare solo sulle tue forze e sulle indicazioni errate di ristretti, quanto potenti, circoli di cattivi consiglieri a percorrere le consuete e fallimentari vie dell’isolamento in gruppi ristretti e fatalmente perdenti. La testardaggine è il peggior difetto che può colpire un uomo politico, un difetto che impedisce di dare libero spazio alla riflessione ponderata e responsabile e alla conseguente e serena valutazione delle scelte più giuste da compiere per il bene del paese. Una simile ostinazione a non voler prendere in considerazione i caratteri nuovi assunti dal confronto politico e dalle esigenze del paese, ti vedrebbe indossare proprio i panni di quella figura da te evocata in un recente discorso quando hai fatto riferimento a una persona che insiste a cercare nel cellulare la fessura in cui inserire il gettone.


 
Ti aspetto alla prova dei fatti
 
Vico Equense, domenica 2 novembre 2014
Sergio Sbragia

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