martedì 14 maggio 2013

Ha senso per la fede cristiana la ricerca storica sull'uomo Gesù di Nàzareth?

Seguo da diversi anni l’evolversi della ricerca storica sulla persona di Gesù. Sono convinto che gli èsiti di quest’àmbito di ricerca sono un autentico dono per l’approfondimento dell’itinerario di fede sia sul piano dell’esperienza personale, quanto per la vita delle comunità ecclesiali.
Siamo infatti chiamati, come discepoli di Gesù, ad annunciare alle donne e agli uomini della nostra epoca la buona notizia del Regno di Dio. Questo è stato anche il tema della recente 12. Assemblea generale del Sinodo mondiale dei Vescovi, i cui lavori si sono concentrati proprio intorno alla ricerca delle vie più adatte per annunciare il Vangelo nel mondo di oggi. Un tale sforzo non può tuttavìa prescindere da un confronto serio, aperto e approfondito con quanto la comunità scientifica ha prodotto in questi anni nel delineare la figura storica di Gesù.
L’immagine di maestro itinerante che di Gesù le diversificate scuole di ricerca storica hanno prodotto, lungi dal configurarsi come un pericolo per la fede, si traduce di fatto in un prezioso ausilio per noi credenti nel rispondere al mandato di Pietro a esser «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt. 3,15).
Sia lo sforzo condotto, con uno statuto metodologico chiaro, definito e verificabile, per ricostruire il contesto antropologico, sociale e culturale degli ambienti che videro la missione pubblica di Gesù, sia la paziente ricostruzione del diverso grado di plausibilità storica dei varî episodî della vita e della passione, nonché i risultati conseguiti nel selezionare gli insegnamenti che con maggiori ragioni possono essere fatti risalire direttamente alla sua persona, se esaminati con equanimità nella loro globalità, finiscono con il restituire una fisionomìa di Gesù che, al di là di aspetti particolari, coincide largamente con l’immagine di Gesù predicata nelle nostre Chiese e vissuta nella nostra fede.
Naturalmente occorre aver cura di tenere debitamènte distinti i due piani, quello della ricerca storica e quello della fede. La ricerca storica sull’uomo Gesù si muove esclusivamente sul piano della metodologìa storica e il suo obiettivo è far luce sui connotati umani di Gesù, uomo vissuto nel 1. sec. e.v., interrogando con metodi sia tradizionali che innovativi le fonti antiche e le fonti nuove rese disponibili da recenti ritrovamenti, facendole interagire fra loro, interrogandole adeguatamente in forma anche inèdita a partire anche da esigenze conoscitive proprie dell’umanità odierna, ricorrendo anche alle acquisizioni prodotte dalle scienze antropologiche e sociali e dai più recenti ritrovamenti archeologici.
Questo è un itinerario che noi cristiani possiamo condurre anche fianco a fianco con uomini di diversa convinzione. Un itinerario che, com’è ovvio, non può condurre per sua natura a rintracciare le prove dei miracoli, della resurrezione o della divinità di Gesù, ma può contribuire senza dubbio a fondare un terreno sul quale diviene possibile scommettere la sostanziale ragionevolezza della scelta di fede, che è tutt’altro che un salto nel buio o nell’illusorietà, quanto la decisione responsabile e consapevole di seguìre una persona, che ha fondate radici nella storia e non nel mito.
Devo riconoscere che nel mio personale itinerario di fede il confronto con le acquisizioni della cosiddetta ricerca sul Gesù storico mi ha permesso di operare insospettati approfondimenti e di compiere significativi passaggî di maturazione.
I vangeli non sono opere storiche, tanto meno sono opere storiche nel senso odierno del termine. Sono piuttosto opere che hanno una finalità di fede, quella di annunziare e testimoniare la meravigliosa novità di Gesù alle donne e agli uomini di tutte le epoche e di tutte le culture. Nonostante ciò, i racconti evangelici presentano numerosi punti di contatto con il “fare storia” e forniscono non di rado elementi di grande utilità e interesse per chi conduce ricerca storica in senso proprio.
Sono nati nell’àmbito di una comunità credente, qual era l’antica comunità cristiana del 1. sec., nella fase di passaggio dalla generazione dei diretti discepoli di Gesù a quella successiva, allorché venne avvertita l’esigenza di fissare per iscritto la “memoria” della missione di Gesù, che fino ad allora era stata curata con grande impegno sul piano della trasmissione orale. La cura di tener viva e fedele “memoria” delle azioni e dei detti di Gesù è un dato che comunque ha un’innegabile relazione con il “fare storia”, nonostante la finalità propria di tale azione di conservazione della memoria sia stata quella della diffusione della fede e non quella dell’esatta ricostruzione dei fatti storici.
L’attenzione alla fedele trasmissione orale dei fatti riguardanti Gesù è stata una delle prime e più sentite preoccupazioni della primitiva comunità cristiana per tener fede al mandato di essere autentici testimonî di Gesù a «Gerusalemme, in tutta la Giudèa e la Samarìa e fino ai confini della terra» (cf. At. 1,8). Ciò comportava naturalmente che nella cerchia dei discepoli di Gesù fosse riposta grande attenzione all’autenticità della memoria dei fatti e dei detti di Gesù, che a questa memoria fosse riservata una dedizione particolare, per cui i credenti accorrevano con sollecitudine ad ascoltare la voce dei testimonî oculari allorquando qualcuno di essi fosse di passaggio in zone circonvicine ai loro luoghi ordinarî di vita. Quando poi, con il passar del tempo, la generazione dei testimonî oculari iniziò a venir meno, le comunità cristiane avvertirono, in modi, forme e tempi diversi, l’esigenza di mettere per iscritto tali memorie. Da qui la nascita di documenti e di raccolte che, attraverso un complesso processo di trasmissione, di redazione, di fusione e d’influenza reciproca, confluiranno nei quattro Vangeli canonici e nei numerosi testi di analogo carattere evangelico che non sono rientrati nel canone cristiano.
Per avere un’idea della grande attenzione per la memoria orale, un’attenzione di natura quasi cultuale, che caratterizzava le prime generazioni di cristiani può essere utile richiamare la testimonianza del vescovo di Geràpoli, Pàpia, vissuto tra la fine del 1. e l’inizio del 2. sec., che Eusebio di Cerarèa riporta nella sua “Historia ecclesiastica“ (3.,39,3-4): «Io non esito a inserire nelle mie interpretazioni, facendomi garante della verità, quanto un tempo ho appreso dai presbiteri e ho conservato nella memoria… Se da qualche parte sopravveniva qualcuno che avesse frequentato i presbiteri, mi informavo sulle parole dette dai presbiteri chiedendo ciò che hanno detto Andrea, Pietro, Filippo, Tommaso, Giacomo, Giovanni, Matteo o qualche altro discepolo del Signore e ciò che dicono Aristione e Giovanni il Presbitero, discepoli del Signore. Ero infatti persuaso che i racconti tratti dai libri non potevano avere per me lo stesso valore delle parole di una voce viva e sonora».
Non è pertanto difficile incontrare lungo i racconti evangelici (canonici e apocrifi) indicazioni di natura storica o dati che possono essere oggetto di confronti con fonti, notizie, dati, documenti e monumenti extra-evangelici per verificarne la coincidenza, la congruenza storica e la plausibilità. Gli studî più recenti hanno mostrato abbondantemente le potenzialità conoscitive ìnsite nei materiali evangelici, che sottoposti ai rigorosi esami previsti dalle più aggiornate e verificate metodologìe di ricerca, hanno prodotto il conseguimento di risultati di grande rilievo con la distinzione tra materiali frutto della comunitaria comprensione di fede post-pasquale e materiali più direttamente riferibili alla stessa vicenda itinerante di Gesù.
Mi preme, infine, esprimere anche una valutazione sul grado di storicità dei racconti evangelici sull’infanzia di Gesù, presenti in forma molto diversa nel “Vangelo di Matteo” e nel “Vangelo di Luca”, che sono stati oggetto di recenti polèmiche.
A differenza della testimonianza evangelica della missione pubblica, i racconti dell’infanzia hanno subìto un processo di formazione decisamente singolare. Nel caso della missione pubblica, la cura della memoria orale degli eventi da parte della comunità ha avuto il suo inizio in una fase temporalmente a quasi immediato ridosso degli eventi e potendo contare su un numero consistente di testimonî oculari. Per contr, l’attenzione alla memoria degli eventi dell’infanzia, pur ipotizzando che questa possa aver preso avvìo in forma contestuale a quella per la missione pubblica, ha comunque avuto inizio circa tre decennî dopo gli avvenimenti da narrare, ha potuto contare su un numero di testimonî oculari di gran lunga minore, testimonî che, per altro, al momento del reale accadimento dei fatti non avevano, né potevano avere, coscienza della singolarità delle cose cui assistevano. Tutto ciò, a mio modesto parere, spiega il fatto che nei racconti dell’infanzia gli elementi di storicità siano molto ridotti (anche se non del tutto assenti), mentre appaiono molto più ampî gli spazî attribuibili alla comunitaria comprensione post-pasquale del significato degli eventi.
Mi rendo conto che, soprattutto in questi giorni di festività, può risultare un po’ difficile porre in secondo piano il discorso dell’effettiva accertabilità storica di varî racconti dei vangeli dell’infanzia, che hanno profondamente inciso nella formazione cristiana di tutti noi, ma occorre essere consapevoli della sostanziale differenza che intercorre tra il concetto di “accertabilità storica” e quello di “accertabilità teologica”. Si è già fatto cenno sul carattere dei vangeli, quali opere che prescindono dall’intento programmatico di “fare storia”, mentre è esplicita e chiara la loro finalità di suscitare la fede in Gesù e favorire l’autentica comprensione del significato della sua missione. In ordine a tale finalità, per quanto riguarda gli eventi dell’infanzia di Gesù, la primitiva comunità ha di certo fatto appello alle possibili risorse di memoria materiale disponibili a partire da trent’anni dopo i fatti, ma alla luce dello Spirito ha dato comunque nei resoconti evangelici una fedele lettura del significato teologico dell’evento dell’incarnazione nel quadro del disegno salvifico delineato dalla sapienza di Dio per l’umanità e per la creazione.
Vico Equense, lì 25 dicembre 2012
(Sergio Sbragia)

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