domenica 5 maggio 2013

«I Giudèi», la Pasqua e la purificazione del Tempio (2,13-25)



«I Giudèi», la Pasqua e la purificazione del Tempio (2,13-25):


«Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudèi e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!". I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 
Allora i Giudèi presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gli dissero allora i Giudèi: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo» (2,13-25).

Nel primo brano (1,19-28) è stata operata una contrapposizione esplicita tra il battesimo di Giovanni e quello di Gesù. Nel secondo brano (2,1-11) è stato proposto, invece, un dualismo implicito tra le tradizionali pratiche giudaiche di purificazione e le nuove esigenze di purificazione proposte da Gesù.
In questo nuovo brano il riferimento proposto è diretto alla festa della Pasqua e si propone il primo episodio di polemica diretta con «i Giudèi». L’espressione «Pasqua dei Giudèi» presenta una sua ambivalenza. Da un lato esprime l’attenzione data da Gesù alla festa della Pasqua, in vista della cui celebrazione egli decide di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme, centro del culto giudaico. Dall’altro non si può negare di riscontrare nella stessa espressione «Pasqua dei Giudèi» la presa di un certa distanza. L’uso della specificazione «dei Giudèi» segna una divaricazione semantica con l’uso primo testamentario, ove ricorre invece l’espressione «Pasqua del Signore»[1] (cf. Es.12,11.48). Non manca chi vede in questa variante la sottolineatura del carattere in definitiva idolatrico del culto praticato nel tempio.    
Va comunque evidenziato che l’espressione «Pasqua dei Giudèi» ricorre nella fase introduttiva di narrazione dell’episodio, con la quale il narratore avvia il racconto dell’episodio. La sottile distinzione terminologica che fa slittare il significato religioso della festa da evento di culto al Signore, a un meno impegnativo livello di una pratica cultuale «giudaica», non deve tuttavìa far dimenticare che il quarto Evangelista presta grande attenzione alle feste giudaiche[2]. Egli struttura tutta l’attività di Gesù, fino alla sua morte, entro uno schema che presenta sei feste. Di queste la prima (quella che qui consideriamo), la terza, e l’ultima sono feste di Pasqua. Ciò dimostra l’importanza rivestita nel Vangelo di Giovanni dal tema pasquale in relazione con l’alleanza, tanto da costituire una delle sue linee maestre. Le feste giudaiche e, tra queste, soprattutto la Pasqua, ricoprono un particolare significato teologico. Soprattutto la riflessione sulla Pasqua include i temi dell’alleanza e dell’esodo, che possono poi tornare utili per interpretare l’intera attività di Gesù. La Pasqua viene così interpretata come partenza, come liberazione dalla terra della schiavitù; evento che costituisce un nuovo popolo, che possiede la carta di fondazione della sua alleanza (Legge) e giunge alla terra promessa. L’evento pasquale, in quanto evento di liberazione e esodo, si realizza con un atto creatore, il dono dello Spirito[3].
Il tema pasquale è presente già nel Prologo con l’allusione alla Tenda dell’Incontro piena della gloria di Dio (1,14), che si colloca nel contesto dell’esodo (Es. 40,34-38). Nel primo capitolo è già stato possibile riscontrare anche delle allusioni al nuovo popolo e al cambiamento dell’alleanza. È possibile infatti riconoscere il nuovo popolo nella comunità che parla, (si veda il “noi; noi tutti” di 1,14.16). E il cambio dell’alleanza è stato presagito nell’opposizione tra Mosè e Gesù Messìa di 1,17. Sempre nel primo capitolo il tema pasquale era riemerso anche nella menzione dell’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo (1,29), e nell’episodio delle nozze di Cana esso ricorre nel suo aspetto di alleanza, con il riferimento al «terzo giorno» (2,1), che rimanda con tutta chiarezza alla teofania del Sinai (Es. 19,11.15-16; cf. 2,11).
Nel brano esaminato ricorre il primo riferimento giovanneo alla festa della Pasqua. Questo riferimento cade al momento della manifestazione messianica di Gesù nel tempio, centro e simbolo dell’istituzione giudaica. In questo contesto, si può ipotizzare che l’ambivalenza in precedenza richiamata possa ritenersi sciolta nel senso che nell’espressione «pasqua dei Giudèi» sia da registrare, da un lato, il fatto storico dell’attenzione di Gesù nei confronti della principale festività giudaica e, dall’altro, la comprensione post-pasquale, del messaggio di Gesù circa le nuove esigenze di autenticità del culto che la sua predicazione vuole proporre (cf. Gv. 4,43). In questa occasione egli denuncia il tempio corrotto dal commercio (2,14-16), e ne annuncia la sostituzione con il nuovo santuario della sua persona (2,19.21), in cui risiede, sulla base di 1,14, la gloria di Dio. Allo stesso tempo la sua azione profetica di espellere il bestiame dal tempio (2,15) preludeva alla sua futura azione di far uscire il popolo dall’istituzione che lo sfrutta e lo opprime (10,1-18). Si annuncia qui il suo esodo, quale ci si attendeva dal Messìa come nuovo Mosè.          
L’impatto di questa manifestazione messianica si prolunga nella prima sezione, in particolare nel terzo capitolo (cf. 3,3.5: il regno di Dio; 3,14: Mosè nel deserto; 3.16: allusione ad Abramo che dona Isacco, in relazione all’agnello pasquale; 3,28-29: il Messìa-Sposo, con allusione alle nuove nozze-alleanza).          
Il tema del tempio percorre tutto il Vangelo, o esplicitamente o per allusione in contrasto con Gesù, nuovo tempio/santuario. Fin dall’inizio, si annuncia infatti la sostituzione del tempio con la persona di Gesù, la Parola-progetto fatto uomo. È nel brano in questione che ricorre la prima menzione del tempio. Qui Gesù trova il luogo destinato a essere «la casa di suo Padre», corrotto dai dirigenti e trasformato in una «casa di commercio». Lo denuncia così come tempio idolatrico, dove il denaro ha soppiantato Dio. Di fatto il culto che in tale tempio si celebra è lo sfruttamento del popolo (2,14-16). Di qui il gesto messianico di Gesù, che espelle le pecore, figura del popolo. È nel contesto di questa manifestazione messianica nel tempio, che ricorre la prima polemica esplicita tra Gesù e «i Giudèi» (2,18-19). I Giudèi interpellano Gesù, così come nel primo brano era stato interpellato Giovanni, per comprendere più esattamente la sua personalità. Il Gesù giovanneo, nella sua replica, si serve di parole che, oltre il loro senso naturale (il solo capìto dagli interlocutori), sono suscettibili di rivestirne un altro, soprannaturale o figurato. Il riferimento delle parole di Gesù è, infatti, al suo corpo resuscitato, che diverrà il centro del culto in spirito e verità (cf. 4,23). È questo uno dei simboli giovannei di maggior rilievo, la cui piena comprensione nella comunità dei discepoli sarà acquisita solo nella fase post-pasquale. La contro replica dei Giudèi (2,20) contiene uno dei riferimenti cronologici assoluti di maggior rilievo, risalendo l’avvio della ricostruzione del tempio al 19 a.e.v., la scena del racconto risulterebbe così situata nel 28 e.v. Essa si situa sul piano della mera fattualità, che ritiene non plausibile l’idea di realizzare in soli tre giorni un’azione che per loro esperienza diretta aveva richiesto ben quarantasei anni di lavoro. Nelle parole dei Giudèi non appare alcuno sforzo per andare oltre il significato apparente e superficiale delle parole di Gesù.         
Il successivo commento dell’evangelista (2,21-22) riporta al significato soprannaturale e figurato dell’espressione di Gesù e al dato della sua comprensione post-pasquale da parte dei discepoli. In sostanza, nell’immediato anche gli stessi discepoli avrebbero di fatto condiviso nella sostanza le perplessità manifestate dai Giudèi nel loro dialogo con Gesù.
Nel sommario conclusivo del brano (2,23-25) si parla di «molti», che credettero in Gesù, ma anche di una sostanziale diffidenza che Gesù avrebbe nutrito nei confronti di quanti avevano creduto in lui, fondata sulla conoscenza dei loro cuori.
Tenuto conto della difficoltà dei Giudèi a comprendere la reale natura della persona di Gesù e il significato autentico delle sue parole, ma anche della sostanziale analogìa tra il loro pensiero e quello dei discepoli, non sembra azzardato poter ipotizzare che tra i «molti» che «vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome» (2,23), possono esserci stati anche alcuni di quei «Giudèi», che lo avevano interpellato nei versetti immediatamente precedenti.
In sintesi non sembra di poter escludere nella figura de «i Giudèi» di questo brano, un‘oscillazione tra il credere, dovuto all’eccezionalità degli atti compiuti da Gesù e al loro riallacciarsi a temi e simboli della tradizione messianica, e il richiamo al rassicurante pragmatismo di una percezione meramente razionale e abitudinaria.
Allo stesso modo si coglie anche la consapevolezza da parte di Gesù di una non autenticità, o di una non pienezza, o, per meglio dire, di una sostanziale immaturità della fede di quei «molti» che, in questa occasione, avevano creduto in Lui, tra i quali non è da escludere che vi fossero alcuni appartenenti al gruppo definito de «i Giudèi».


[1] – Cf. voc. Tempio, in «Dizionario teologico del Vangelo di Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan Barreto», Assisi: Cittadella Editrice, 1982, 302-303.
[2] – Cf. voc. Festa, in «Dizionario teologico del Vangelo di Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan Barreto», Assisi: Cittadella Editrice, 1982, 112-113.
[3] – Cf. voc. Creazione, in «Dizionario teologico del Vangelo di Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan Barreto», Assisi: Cittadella Editrice, 1982, 64.

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