domenica 12 maggio 2013

I vescovi della Campania intervengono sugli eventi di pietà popolare

I vescovi della Campania intervengono sugli eventi di pietà popolare.

 

In questi giorni è stato pubblicato un importante documento della Conferenza episcopale della Campania, dedicato ai temi delle feste religiose. Il documento, intitolato “Evangelizzare la pietà popolare : Norme per le feste religiose”, interviene autorevolmente su un tema di grande delicatezza e di notevole portata nella vita delle nostre comunità ecclesiali.

La vita religiosa delle nostre genti trova ampia espressione in momenti celebrativi e devozionali che spesso travalicano l’àmbito stretto della vita liturgica e della pratica sacramentale, che si concretizzano in eventi che siamo soliti definire di “religiosità popolare”. È il caso di una molteplicità di eventi: processioni, pellegrinaggî, devozioni particolari, feste patronali, appuntamenti di preghiera, forme di venerazione legate a particolari luoghi, immagini ed edicole votive, e molte altre e diversificate forme di culto e devozione pubbliche e private. Si tratta di forme di esperienza religiosa profondamente radicate nel vissuto di fede  delle nostre genti, che spesso affondano le proprie origini lontano nel tempo.

Il documento è stato presentato pubblicamente in una recente conferenza stampa, presieduta dal Card. Crescenzio Sepe, alla quale hanno partecipato i Vescovi della nostra Regione.

L’argomento non è nuovo nella preoccupazione pastorale dei vescovi campani, che già nel 1973 emanarono direttive pastorali in merito, ma il documento attuale si segnala in modo particolare per la preoccupazione di un concreto rischio di un’ingerenza malavitosa nello svolgimento delle feste religiose. Questo dato porta immediatamente alla memoria i casi recenti in cui nel corso di processioni, celebrate in occasione feste patronali, si sono verificati in varî luoghi episodî di omaggio pubblico a personaggî di spicco legati ad ambienti malavitosi.

La Chiesa campana ha ritenuto allora necessario condannare e respingere, con fermezza tali ingerenze che possono verificarsi in occasione di manifestazioni pubbliche, come le processioni e le feste.

Il documento, tuttavìa, non si ferma a questa, pur primaria, esigenza di scongiurare pericolose degenerazioni nella gestione e nello svolgimento degli eventi di pietà popolare, ma si configura come un autentico sforzo di evangelizzazione delle forme di pietà popolare diffuse nella nostra realtà ecclesiale, operato facendo proprio l’invito formulato dalla recente Assemblea del Sinodo mondiale dei Vescovi sulla Nuova evangelizzazione, che, nel “Messaggio al popolo di Dio”, esorta le parrocchie «ad affiancare alla tradizionale cura pastorale del popolo di Dio le forme nuove di missione richieste dalla nuova evangelizzazione. Esse devono permeare anche le varie, importanti espressioni della pietà popolare» (13a Assemblea generale ordinaria del Sinodo mondiale dei vescovi, “Messaggio al popolo di Dio”, 8).

Punto di partenza della riflessione di Vescovi è l’insegnamento sul tema formulato da papa Paolo 6° nell’Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, n. 48. In quell’occasione, papa Montini, ebbe modo d’indicare nella pietà popolare «un aspetto dell'evangelizzazione che non può lasciare insensibili»,  e non mancò di sottolineare come «sia nelle regioni in cui la Chiesa è impiantata da secoli, sia là dove essa è in via di essere impiantata, si trovano presso il popolo espressioni particolari della ricerca di Dio e della fede. Per lungo tempo considerate meno pure, talvolta disprezzate, queste espressioni formano oggi un po' dappertutto l'oggetto di una riscoperta». Il sommo pontefice non si nascondeva che «la religiosità popolare […] ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare un'autentica adesione di fede. Può anche portare alla formazione di sètte e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale». Ciononostante Paolo 6° pose in grande evidenza come la pietà popolare «se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione».

I vescovi della Campania prendono le mosse proprio da questo autorevole insegnamento montiniano per indicare come “pietà popolare” quel «complesso di manifestazioni, prevalentemente di carattere comunitario, che nell’ambito della fede cristiana si esprime, non secondo i moduli e le leggi proprie della liturgia, ma in forme peculiari sorte dal genio di un popolo e dalla sua cultura e rispondenti a precisi orientamenti spirituali di gruppi di fedeli», ma anche per precisare opportunamente come essa, da un lato, faccia esplicito riferimento «alla rivelazione cristiana, cioè alla fede in Dio Uno e Trino, in Cristo vero Dio e vero uomo, Salvatore di tutto il genere umano e alla Chiesa», e, dall’altro, si configuri come «il complesso di manifestazioni cultuali che sono in sintonia con la cultura di un popolo e ne esprimono l’identità».

I Vescovi riconoscono come caratteristiche e valori significativi della “pietà popolare”:

-       la “spontaneità”, «in quanto essa nasce non tanto dal ragionamento quanto dal sentimento;

-       l’apertura alla trascendenza” «come superamento della povertà “esistenziale” in cui spesso il popolo vive»;

-       il “linguaggio totale” «con il quale la pietà popolare trasmette la fede non con il ragionamento ma con il silenzio e la parola, il canto e la danza, il gesto individuale e l’azione corale, l’immagine e il colore»;

-       la “concretezza” con cui la pietà popolare dialoga con Dio e affronta i problemi della vita quotidiana segnata spesso dal dolore e dalla fatica (povertà, malattia, mancanza di istruzione e di lavoro…), i grandi cicli dell’esistenza (nascita, crescita e maturazione, matrimonio, anzianità, morte, aldilà) e i contenuti che le danno colore e calore (l’amicizia, l’amore, la solidarietà);

-       la “saggezza” «che tende a congiungere in una sintesi vitale divino e umano, spirito e corpo, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto»;

-       la “memoria” «che porta a trasmettere il passato come “racconto” e a vederlo come un “fattore di identità” per il gruppo e la collettività»;

-       la “solidarietà” «che si incontra più facilmente tra gli umili, i poveri, i semplici che non hanno ideologie che li dividono, ma esperienze di vita e sofferenze che li uniscono: per gli umili e i semplici la condivisione – del pane, del tempo, della parola – è un fatto normale intuendo che non possono aspirare alle ricchezze del cielo senza condividere i beni della terra».

Il documento tiene poi a individuare, pur nella molteplicità delle forme espressive, i principali orientamenti che contraddistinguono le manifestazioni della pietà popolare:

-       «l’adorazione alla Santissima Trinità e l’amore a Dio, padre buono e provvidente, signore onnipotente, giudice giusto e misericordioso;

-       l’attenzione amorosa per l’umanità di Cristo, contemplato soprattutto nei misteri dell’infanzia (Gesù bambino), della passione (Gesù crocifisso, l’Ecce homo, il Volto Santo), del suo amore misericordioso (Sacro Cuore) e della sua presenza nascosta (il Santissimo Sacramento);

-       la venerazione della Madonna; la  devozione degli Angeli, il culto dei Santi visti dai fedeli come amici e intercessori del popolo di Dio;

-       la preghiera per i defunti con la celebrazione di sante Messe di suffragio e le indulgenze per i defunti, nonché con la visita dei cimiteri».

Fatte queste premesse che hanno opportunamente evidenziato il valore e le potenzialità di arricchimento spirituale delle forme di pietà popolare, i Vescovi non si nascondono i problemi che si manifestano in un quadro profondamente diversificato di esperienze e manifestazioni e indicano con chiarezza i pericoli cui esse possono andare incontro.

I Vescovi non esitano a evidenziare come numerose feste popolari abbiano spesso solo la parvenza del sacro. Il rischio concreto è allora che esse, in quanto svuotate del più autentico contenuto cristiano, corrono il pericolo di non render «credibile la fede da parte dei lontani», di essere rifiutate dai giovani che le percepiscono come «prive di ogni valore di autentica testimonianza cristiana», di venir considerate dai poveri «più una provocazione che un annuncio gioioso della salvezza».

Non viene poi sottovalutata la possibilità che in molti casi le stesse processioni possono trasformarsi, di fatto, «in estenuanti maratone di questuanti», che in definitiva «offendono il decoro e il sacro e non sono certo segno di una Chiesa peregrinante».

Di fronte a tali eventualità i nostri Pastori avvertono la necessità di «recepire con tempestività l’istanza di una religiosità essenziale che rifugga da forme colorate e rumorose e che tenda ad una interiorizzazione del culto» e, affinché «le feste religiose siano autentiche celebrazioni di fede incentrate nel mistero di Cristo e siano purificate da infiltrazioni profane», manifestano la volontà chiara di dar vita a un’azione pastorale indifferibile «che si proponga di vivere le manifestazioni esterne del culto popolare in modo che siano espressioni autentiche e comunitarie di fede; di formare, con una seria e puntuale catechesi, una sana opinione pubblica sul significato cristiano di questi riti collettivi; di purificare il culto popolare, spesso decaduto a sagra mondana e a fatto di folclore, dalle incrostazioni superstiziose che si sono sovrapposte».

A tale scopo i vescovi hanno, pertanto, ritenuto necessario formulare alcune direttive pastorali, intese a divenire norme operative per le comunità ecclesiali, in ordine alle feste religiose e alle processioni, ai pellegrinaggî e ai santuarî. Direttive che si ripropongono di creare le condizioni più opportune per poter contribuire:

-       a un’“evangelizzazione autentica della pietà popolare” «con un rapporto continuo e fecondo con la Parola di Dio;

-       a “orientare la pietà popolare verso la liturgia”, «che è il culmine verso cui tende tutta

-       l’azione della Chiesa»;

-       a “superare il distacco tra culto e vita”, «sia sulla liturgia sia sulla pietà popolare incombe il rischio di un distacco tra il momento cultuale e l’impegno di vita».

Il documento si conclude quindi nella formulazione di alcune precise disposizioni operative riguardanti sia gli aspetti più direttamente liturgici e celebrativi delle feste religiose, che i momenti ludici che non di rado sono a esse collegati.

Queste disposizioni possono essere così schematicamente richiamate:

“àmbito liturgico-celebrativo”:

-       necessità che ogni nuova festa sia espressamente autorizzata dall’Ordinario canonico;

-       ogni festa sia adeguatamente preparata con un “novenario” o “settenario” o “triduo”, al cui interno ampio spazio sia dato all’ascolto della Parola di Dio;

-       che, contestualmente a ogni festa, venga preparato e realizzato un gesto concreto di solidarietà.

“aspetto ludico-esterno”:

-       il momento ludico, non di rado collegato alla festa religiosa, non dev’essere prevalente o distaccato, rispetto ad essa, anzi deve rimanere comunque ad essa subordinato;

-       è necessario evitare che le feste religiose si riducano a manifestazioni paganeggianti, con sperpero di danaro per il cantante famoso e per i fuochi artificiali;

-       delicata funzione dei Consiglî pastorali parrocchiali, ai quali viene conferito il compito di assicurare, attraverso un sapiente dosaggio, il delicato equilibrio tra il polo liturgico-celebrativo e quello ludico di una determinata festa religiosa.

-       i Comitati organizzativi devono essere presieduti dal Parroco, avere carattere temporaneo, essere composti da persone che si distinguono per impegno ecclesiale e onestà di vita, godere della partecipazione di componenti del Consiglio pastorale, impegnarsi al pieno e rigoroso rispetto delle norme canoniche e civili, presentare tempestivamente il bilancio dell’iniziativa al Consiglio parrocchiale degli affari economici.

-       va poi garantita la coerenza della programmazione delle feste con le principali solennità del calendario liturgico, evitando sovrapposizioni;

-       sono previste norme stringenti anche per le Confraternite;

-       sono dettate anche norme per i contenuti e le forme degli spettacoli leggeri previsti nel corso delle feste.

Il documento si conclude, infine, con alcune disposizioni particolari riguardanti le processioni, i pellegrinaggî e i santuarî, tra le quali si segnalano in particolare:

 

“per le processioni”:

-       il divieto di attaccare denari alla statua che viene portata in processione;

-       la definizione degli itinerarî con il consenso del Consiglio Pastorale Parrocchiale.

 

“per i pellegrinaggî”:

-       la previsione in partenza di un momento di preghiera nella chiesa parrocchiale;

-       la programmazione di una “liturgia della soglia” come momento di preghiera e di accoglienza dei pellegrini;

 

“per i santuarî”:

-       divieto che i cortei diretti ai santuarî che ostentino stendardi religiosi coperti di denaro o che trasportino, danzando, trofei votivi.

-       sono altresì vietate anche manifestazioni di isterismo che profanino il luogo sacro e impediscano la devota e decorosa celebrazione dei momenti liturgici.

-       i punti vendita di “ricordi” non siano sistemati all’interno dell’aula liturgica e non abbiano l’apparenza di un mercato.

I nostri pastori concludono il documento sottolineando che le norme in esso delineate «non vogliono essere una gabbia dove rinchiudervi la libertà e la spontaneità dei fedeli bensì qualificare la pastorale affinché sottolinei con forza la necessità che la nostra religione non può ridursi a qualche pratica esteriore ma deve incidere sul modo di pensare, di giudicare e di vivere dei cristiani».

Il testo integrale del documento può essere consultato sul sito:


Una sintesi della conferenza stampa di presentazione del documento è invece disponibile sul sito:


Il documento si configura pienamente come un autorevole pronunciamento dei Vescovi della nostra Regione, un coraggioso gesto di iniziativa pastorale, i cui contenuti è auspicabile vengano ampiamente portati a conoscenza di tutti i fedeli.

 

Sergio Sbragia

Vico Equense, domenica 12 maggio 2013



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