«I Giudèi» all’origine della testimonianza di Giovanni (1,19-28).
«Questa è la testimonianza di Giovanni,
quando i Giudèi gli inviarono
da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Tu, chi sei?". Egli confessò e non negò. Confessò:
"Io non sono il Cristo". Allora
gli chiesero: "Chi sei, dunque? Sei tu Elìa?". "Non lo sono",
disse. "Sei tu il profeta?". "No", rispose. Gli dissero allora: "Chi sei?
Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici
di te stesso?". Rispose:
"Io
sono voce di uno che grida nel
deserto:
Rendete
diritta la via del Signore,
come
disse il profeta Isaia".
Quelli
che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero:
"Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elìa, né il profeta?". Giovanni rispose loro: "Io
battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io
non sono degno di slegare il laccio del sandalo". Questo avvenne in Betània, al di là
del Giordano, dove Giovanni stava battezzando» (1,19-28).
In
questa prima ricorrenza il termine «i Giudèi» non ha, ovviamente, alcuna
relazione diretta con la persona di Gesù. L’analisi del brano risulta tuttavìa
utile per iniziare a individuare i tratti distintivi con cui l’evangelista
caratterizza il loro personaggio letterario. «I Giudèi» sono qui indicati al v.
19 come coloro che inviano presso Giovanni un gruppo di sacerdoti e
leviti, con il compito di interrogarlo. Più avanti, al v. 24, essi sono di
fatto identificati con «i farisei». Si
tratta di una ripetizione con la variante «farisei» derivante in sede redazionale
dalla fusione di due fonti distinte, dove in una si parlerebbe de «i Giudèi» e
nell’altra si farebbe riferimento a «i farisei»? O piuttosto possiamo trovarci
di fronte a una tecnica narrativa tipicamente semitica dove alcuni concetti
chiave e informazioni ritenute centrali per il lettore vengono ripetuti e
approfonditi con un arricchimento di significato e di contenuto.
Ne emerge comunque: una stretta correlazione tra «i Giudèi» e «i
farisei», una sorta di loro sovra ordinazione a esponenti del ceto sacerdotale
e levitico («inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti»), una loro
collocazione in Gerusalemme, la città del Tempio, ma, nonostante ciò, una loro
grande attenzione ai fenomeni religiosi che si realizzavano anche fuori di
Gerusalemme. Dalle domande che i loro inviati formulano a Giovanni, è possibile desumere quali potessero essere le preoccupazioni da cui
potevano prendere origine le loro azioni. Il dato di partenza, che li spinge a
inviare una delegazione presso il Battista, è fornito dalla notizia giunta a
Gerusalemme che a Betània, al di là del Giordano, questi battezza (cf. v. 25:
«Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elìa, né il profeta?»).
La località di Betània, al di là del Giordano, dista oltre 30 km. da
Gerusalemme, si trova di fatto fuori del territorio propriamente giudaico. Essa
è infatti in prossimità del luogo dove avvenne, grazie proprio al passaggio del
Giordano, l’ingresso dell’antico Israele nella terra promessa (cf. Gs. 3), e,
nonostante ciò, «i Giudèi» che hanno il loro centro di azione nella città di
Gerusalemme prestano attenzione alle notizie che giungono circa un predicatore
itinerante che battezza lungo le rive del fiume Giordano.
Il battesimo praticato da Giovanni, li incuriosisce, nonostante si tratti ancòra del battesimo
nell’acqua e non del battesimo nello Spirito Santo (cf. 1,32-33). Essi sono a
questo punto del racconto evangelico da ritenere ancora estranei alle
problematiche proposte dalla predicazione di Gesù.
Secondo le pratiche giudaiche del 1. sec. e.v., il battesimo con
acqua, anzi meglio parlare di “immersione nell’acqua”, “simboleggiava un
cambiamento di situazione, in particolare la libertà per uno schiavo o il
cambiamento di religione per un proselito”[1]. All’inizio
dell’era volgare era infatti abbastanza diffuso nel giudaismo battezzare i
proseliti, per esprimere la loro aggregazione al popolo giudaico[2]. Tale
pratica voleva in sintesi esprimere la rottura con un passato che veniva portato
via dall’acqua. Nel clima di scontento verso l’istituzione giudaica, proprio
dell’epoca, la pratica battesimale proposta da Giovanni, poteva pertanto essere segno di una rottura con quell’istituzione e,
al tempo stesso, indizio di quella speranza nel Messìa che doveva manifestarsi
in Israele[3].
Secondo Giuseppe Flavio, anche nelle comunità degli esseni, sia a
Damasco che a Qumrân, venivano praticati bagni rituali; non erano però riti di
iniziazione, ma al contrario vi si veniva ammessi dopo un lungo tirocinio, che
dimostrasse la sincerità della conversione. Una volta accolti nella comunità,
il bagno era giornaliero ed esprimeva lo sforzo ascetico costante verso una vita
più pura. Qui tuttavìa ognuno si immergeva da solo nell’acqua, mentre i
penitenti che si rivolgevano a Giovanni, ricevevano il battesimo da lui e solo una volta[4].
Di fronte alla pratica battesimale di Giovanni, «i Giudèi» si chiedono se il Battista potesse essere il Cristo (il
Messìa), se fosse Elìa o se fosse comunque il Profeta. In effetti in Israele
erano presenti forti tradizioni riguardanti queste figure. In ordine inverso a
quello proposto dalla citazione della pericope:
a) in Israele, sulla base del testo di Dt. 18,15.18 («Il Signore, tuo
Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a
me. A lui darete ascolto… Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro
fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli
comanderò») inteso come annuncio di un futuro profeta uguale a Mosè, era viva
l’attesa della figura escatologica del profeta (quello, che secondo 6,14, doveva
venire nel mondo: «Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva:
"Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!»). La sua
funzione, tuttavìa, non era ben specificata[5].
b) un’altra dimensione di attesa diffusa nel giudaismo è quella relativa
al profeta Elìa che, secondo Ml. 3,22-24, doveva preparare l’arrivo del «giorno
del Signore».
«Tenete a mente la legge del mio servo Mosè,
al quale ordinai sull'Oreb
precetti e norme per tutto Israele.
Ecco, io invierò il profeta Elìa prima che giunga
il giorno grande e terribile del Signore:
egli convertirà il cuore dei padri verso i figlî
e il cuore dei figlî verso i padri,
perché io, venendo,
non colpisca
la terra con lo sterminio» (Ml. 3,22-24).
Il giudaismo, infatti, ha molto sviluppato
l’intero racconto biblico relativo al profeta Elìa, creando e moltiplicando racconti
intorno alla sua figura, collocandolo in una delle serie degli angeli,
ritenendolo il sommo sacerdote della fine dei tempi e ponendo, soprattutto,
l’accento sulla sua venuta escatologica. Al suo rapimento misterioso (2Re
2,1-18)[6]
corrisponderà infatti un suo ritorno escatologico con il mandato di ricondurre
il cuore dei padri verso i figlî e il cuore dei figlî verso i loro padri[7].
c) Ma l’attesa per eccellenza che caratterizzava tutta la millenaria
esperienza religiosa del popolo ebraico era costituita, sia pur attraverso una
molteplicità di forme diverse, dall’attesa per la figura del Messìa, che nel Vangelo di Giovanni coincide con il
Cristo (cf. 1,41: «Egli [Andrea] incontrò per primo suo fratello Simone e gli
disse: "Abbiamo trovato il Messia" - che si traduce Cristo»).
Da quanto detto ne emerge la possibilità di leggere nella figura de «i
Giudèi» un gruppo contraddistinto da una duplice valenza, da un lato una
tensione sostanzialmente negativa che è attenta a ogni movimento nuovo
nell’àmbito dell’esperienza religiosa di Israele onde scongiurarne le
potenzialità destabilizzatrici rispetto agli assetti di potere politico e
religioso esistenti, dall’altro una tensione positiva che cerca di leggere nei
singoli eventi della storia le tracce del compimento delle promesse di Dio al
suo popolo che la Legge e le tradizioni profetica e sapienziale avevano consegnato
alla fede delle generazioni successive.
Queste due valenze sono ambedue possibili. «I Giudèi» sono un gruppo e
questi due atteggiamenti possono essere espressi da persone diverse
appartenenti allo stesso gruppo, ma possono essere espressi anche dalla stessa
persona in momenti diversi, o in forma intrecciata nell’esperienza di fede di
una singola persona, che spesso può dibattersi drammaticamente tra spinte alla
santità e cadute nel peccato.
Dal tono degli interrogativi rivolti a Giovanni, mi sembra tuttavìa di poter percepire la prevalenza di una tensione
positiva, che spera di riconoscere nel richiamo alla penitenza del Battista i
segni dell’azione di Dio, un atteggiamento che, in linguaggio moderno, potremmo
definire da scrutatori dei segni dei tempi.
Sul piano della composizione del gruppo mi sembra che, in questo caso,
l’Evangelista voglia intendere con l’espressione «i Giudèi» un gruppo
sostanzialmente autorevole sul piano religioso e sociale e con indubbî elementi
di interscambiabilità con l’altro gruppo de «i farisei».
Complessivamente mi sembra una ricorrenza del sintagma «i Giudèi»
sostanzialmente neutro rispetto a Gesù e alla sua proposta, ma con, a mio
giudizio, venature positive nella presentazione del gruppo.
Non va tuttavìa sottovalutata la dimensione teologica del brano, che
pone in evidenza la distanza intercorrente tra il battesimo in acqua, praticato
da Giovanni, e il battesimo nello Spirito che sarà praticato da Gesù.
[1] – voc. Acqua,
in «Dizionario teologico del Vangelo di
Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan
Barreto», Assisi: Cittadella Editrice, 1982, 23.
[2] – Cf. Roberto Tufariello, voc. Battesimo, in «Schede bibliche pastorali : 1. A-B /a cura di Giuseppe Barbaglio»,
Bologna: Edizioni Dehoniane, 1982, 309.
[3] – Cf. voc. Acqua,
in «Dizionario teologico del Vangelo di
Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan
Barreto», Assisi: Cittadella Editrice, 1982, 23.
[4] – Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, 2., 8, 5; cf. Roberto Tufariello, voc. Battesimo, in Giuseppe Barbaglio (a cura
di) Schede bibliche pastorali: 1: A-B,
Bologna: Edizioni Dehoniane, 1982, 309; François Amiot, voc. Battesimo, in Xavier Leon-Dufour
(diretto da), Dizionario di Teologia
Biblica, Casale Monferrato: Marietti, 1971, 112.
[5] – Cf. voc. Profeta,
in «Dizionario teologico del Vangelo di
Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan
Barreto», Assisi: Cittadella Editrice, 1982, 271-272.
[6] – «Quando il Signore stava per far salire al cielo in
un turbine Elìa, questi partì da Gàlgala con Eliseo. Elìa
disse a Eliseo: "Rimani qui, perché il Signore mi manda fino a
Betel". Eliseo rispose: "Per la vita del Signore e per la tua stessa
vita, non ti lascerò". Scesero a Betel. I
figlî dei profeti che erano a Betel andarono incontro a Eliseo e gli dissero:
"Non sai tu che oggi il Signore porterà via il tuo signore al di sopra
della tua testa?". Ed egli rispose: "Lo so anch'io; tacete!". Elìa
gli disse: "Eliseo, rimani qui, perché il Signore mi manda a Gerico".
Egli rispose: "Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti
lascerò"; e andarono a Gerico. I
figlî dei profeti che erano a Gerico si avvicinarono a Eliseo e gli dissero:
"Non sai tu che oggi il Signore porterà via il tuo signore al di sopra
della tua testa?". Rispose: "Lo so anch'io; tacete!". Elìa
gli disse: "Rimani qui, perché il Signore mi manda al Giordano". Egli
rispose: "Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti
lascerò". E procedettero insieme.
Cinquanta
uomini, tra i figlî dei profeti, li seguirono e si fermarono di fronte, a
distanza; loro due si fermarono al Giordano. Elìa prese il suo mantello,
l'arrotolò e percosse le acque, che si divisero di qua e di là; loro due passarono
sull'asciutto. Appena furono
passati, Elìa disse a Eliseo: "Domanda che cosa io debba fare per te,
prima che sia portato via da te". Eliseo rispose: "Due terzi del tuo
spirito siano in me". Egli
soggiunse: "Tu pretendi una cosa difficile! Sia per te così, se mi vedrai
quando sarò portato via da te; altrimenti non avverrà". Mentre continuavano a camminare
conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro
due. Elìa salì nel turbine verso il cielo. Eliseo
guardava e gridava: "Padre mio, padre mio, carro d'Israele e suoi destrieri!".
E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pezzi. Quindi raccolse il mantello, che era
caduto a Elìa, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano.
Prese il mantello, che era caduto a Elìa, e
percosse le acque, dicendo: "Dov'è il Signore, Dio di Elìa?". Quando
anch'egli ebbe percosso le acque, queste si divisero di qua e di là, ed Eliseo
le attraversò. Se lo videro di
fronte, i figlî dei profeti di Gerico, e dissero: "Lo spirito di Elìa si è
posato su Eliseo". Gli andarono incontro e si prostrarono a terra davanti
a lui. Gli dissero: "Ecco,
fra i tuoi servi ci sono cinquanta uomini vigorosi; potrebbero andare a cercare
il tuo signore nel caso che lo spirito del Signore l'abbia preso e gettato su
qualche monte o in qualche valle". Egli disse: "Non mandateli!". Insistettero tanto con lui che egli
disse: "Mandateli!". Mandarono cinquanta uomini, che cercarono per
tre giorni, ma non lo trovarono. Tornarono da Eliseo, che stava a Gerico. Egli
disse loro: "Non vi avevo forse detto: "Non andate"?» (2Re
2,1-18).
[7] – Cf. voc. Profeta,
in «Dizionario teologico del Vangelo di
Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan
Barreto», Assisi: Cittadella Editrice, 1982, 271; Angelo Duranti, voc. Elìa, in «Schede bibliche pastorali : 3. E-F /a cura di Giuseppe Barbaglio»,
Bologna: Edizioni Dehoniane, 1983, 1044; André Darrieutort, voc. Elìa, in «Dizionario di Teologia Biblica /diretto da Xavier Leon-Dufour»,
Casale Monferrato: Marietti, 1971, 334.
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