domenica 5 maggio 2013

«I Giudèi» alle Nozze di Cana (2,1-11)



«I Giudèi» alle Nozze di Cana (2,1-11)



«Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilèa e c'era la madre di Gesù.  Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù le rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Sua madre disse ai servitori: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela".
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudèi, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto". Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora". 
Questo, a Cana di Galilèa, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (2,1-11).



Nella narrazione del miracolo di Cana il riferimento al gruppo de «i Giudèi» ricorre nel quadro di un richiamo all’attività di purificazione rituale dei Giudèi. Gesù, infatti, ordina di riempire d’acqua sei grandi anfore destinate proprio ai riti della purificazione, cioè alle ricorrenti abluzioni del corpo e degli abiti effettuate con l’acqua, che avevano la funzione di consentire il recupero della condizione di purità.
La scena si svolge lontano da Gerusalemme, anzi al di fuori della Giudèa, in Galilèa. Il riferimento è quindi non a un gruppo autorevole centrato in Gerusalemme, ma a «i Giudèi» come entità religiosa, sostanzialmente coincidente con l’intero Israele fedele e credente.
In Israele l’impurità era la forma più elementare con cui si presentava tutto ciò che dispiace a Dio. Essa rappresentava una forza misteriosa che contamina ed esclude dalla sfera del sacro, dove per Israele era propriamente situata la vita; l’impurità era perciò una condizione di morte.
La purità è un concetto comune alle religioni antiche. Essa designa la disposizione richiesta per avvicinarsi alle cose sacre. Pur potendo implicare in via accessoria la virtù morale opposta alla lussuria, essa non è procurata da atti morali, ma da riti, la si perde per contatti materiali, indipendentemente da ogni responsabilità morale. Ordinariamente questo concetto primitivo tende ad approfondirsi, ma lo fa in modo vario, secondo i diversi ambienti di pensiero. Secondo la fede biblica, che crede buona tutta la creazione, la nozione di purità tende a diventare interna e morale, pur conservando presso Israele aspetti privi di rapporti diretti con la moralità. La purità assicura l’attitudine legale a partecipare al culto o alla stessa vita ordinaria della comunità santa.
Le leggi che regolavano la purità cultuale presso Israele erano complesse e riflettevano anche concezioni primitive e costumi arcaici. Tali riti avevano la funzione di separare Israele dai popoli circostanti e di conservargli il senso della trascendenza di Jahwé.
Tale legislazione includeva la pulizia fisica, pur non esaurendosi in essa. Prescriveva pertanto l’allontanamento di tutto ciò che è sudicio, malato o corrotto.
La purità costituiva anche una protezione contro il paganesimo e la tentazione dell’idolatria. Poiché la terra di Canaan era, nell’antichità, contaminata dalla presenza dei pagani, i bottini di guerra furono votati all’anàtema («Incendiarono poi la città e quanto vi era dentro. Destinarono però l'argento, l'oro e gli oggetti di bronzo e di ferro al tesoro del tempio del Signore. Giosuè lasciò in vita la prostituta Raab, la casa di suo padre e quanto le apparteneva. Ella è rimasta in mezzo a Israele fino ad oggi, per aver nascosto gli inviati che Giosuè aveva mandato a esplorare Gerico. In quella circostanza Giosuè fece giurare: "Maledetto davanti al Signore l'uomo che si metterà a ricostruire questa città di Gerico! Sul suo primogenito ne getterà le fondamenta e sul figlio minore ne erigerà le porte!". Il Signore fu con Giosuè, la cui fama si sparse in tutta la regione», Gs. 6,24-27) e gli stessi frutti di questa terra furono proibiti durante i primi tre anni del raccolto («Con questo ariete di riparazione il sacerdote compirà per lui il rito espiatorio davanti al Signore, per il peccato da lui commesso, e il peccato commesso gli sarà perdonato. Quando sarete entrati nella terra e vi avrete piantato ogni sorta di alberi da frutto, ne considererete i frutti come non circoncisi; per tre anni saranno per voi come non circoncisi: non se ne dovrà mangiare. Nel quarto anno tutti i loro frutti saranno consacrati al Signore, come dono festivo. Nel quinto anno mangerete il frutto di quegli alberi; così essi continueranno a produrre per voi. Io sono il Signore, vostro Dio», Lv. 19,22-25). Taluni animali, come il maiale, furono definiti impuri («il porco, perché ha l'unghia bipartita da una fessura, ma non rumina, lo considererete impuro», Lv. 11,7) indubbiamente perché i pagani li associavano al loro culto (cf. « Uno sacrifica un giovenco e poi uccide un uomo, / uno immola una pecora e poi strozza un cane, / uno presenta un'offerta e poi sangue di porco, / uno brucia incenso e poi venera l'iniquità. / Costoro hanno scelto le loro vie, / essi si dilettano dei loro abominî», Is. 66,3).
La purità disciplinava infine l’uso di tutto ciò che è santo. Tutto ciò che riguarda il culto doveva essere eminentemente puro e non poteva essere indebitamente avvicinato. D’altra parte, il sacro e l’impuro erano ugualmente intoccabili come se fossero carichi di una forza terribile e contagiosa.
Alla base di questa nozione ancora molto materiale della purità appare l’idea che l’uomo ha una tale unità, che non si possono dissociare il corpo e l’anima, e che i suoi atti religiosi, per quanto spirituali, restano incarnati. In una comunità consacrata a Dio e desiderosa di superare lo stato naturale della sua esistenza, non si mangia qualunque cosa, non si tocca tutto, non si fa un uso qualsiasi delle potenze generatrici della vita. Queste molteplici restrizioni, forse arbitrarie all’origine, hanno avuto un duplice effetto. Esse preservavano la fede monoteistica da ogni contaminazione dell’ambiente pagano circostante; inoltre, assunte per obbedienza a Dio, costituivano una vera disciplina morale. Così potevano rivelarsi progressivamente le esigenze di Dio, spirituali[1].
La purificazione, neutralizzando gli effetti dell’impurità, rimette la persona in relazione con Jahwé, il santo, cioè permette la partecipazione al culto e assicura al popolo la vita. L’impurità dell’uomo, posto di fronte all’assoluta santità trascendente di Dio, rivela la miseria della condizione umana. All’uomo Dio chiede di santificarsi. Jahwé chiama l’uomo, lo attrae, lo sollecita: quindi l’esigenza di purificazione è pari, per Israele, alla coscienza della santità di Jahwé. In Israele i riti di purificazione erano molteplici: varî elementi potevano svolgere, in casi diversi, una funzione purificatrice, per esempio, il fuoco, il sangue e, come in questo caso, l’acqua.
L’acqua purifica (Lv. 11,23-25)[2]: il sacerdote deve lavarsi prima di esercitare le sue funzioni (Es. 30,17-20; Lv. 8,6; 16,4)[3]; l’abluzione è frequente nei sacrificî d’espiazione (Lv. 12,6-7)[4], alla nascita (Ez. 16,4)[5], per il matrimonio (Rt. 3,3)[6], prima d’assumere i pasti, per purificare sia il corpo (Lv. 22,5-6; c. 15)[7] che gli abiti (Es. 19,10; Nm. 31,24)[8] da contatti impuri[9].
Nel brano non emerge un evidente rifiuto polemico nei confronti delle pratiche giudaiche di purificazione cultuale, ma è presente la proposizione di una nuova e più autentica azione di purificazione. Le anfore di pietra, figura della Legge (tavole di pietra), destinate a contenere acqua per la purificazione, sono in realtà vuote (cf. il successivo v. 7: «Riempite d’acqua le anfore»): l’antica Legge non può purificare autenticamente. Riemerge qui il dualismo già affiorato nel c. 1 (1,32-34)[10] tra il battesimo in acqua e il battesimo nello Spirito. È significativo che, all’inizio della sua attività, Gesù trasformi l’acqua in vino, indicando come la sua opera segni il passaggio dalla prima alla seconda alleanza. facendo riempire d’acqua le anfore, Gesù indica la sua volontà di purificare (ristabilire il rapporto con Dio); trasformando l’acqua in vino egli indica che la sua purificazione è indipendente dalla Legge della prima alleanza, essa non avverrà al di fuori (acqua che lava), ma nell’intimo dell’uomo (vino che si beve, lo Spirito). La purificazione, sempre associata all’idea di afflizione rituale (liturgia penitenziale), passa al campo della gioia e della festa, data dal vino dello Spirito nelle nuove nozze-alleanza[11].


[1] – Cf. Ladislas Szabo, voc. Puro, in «Dizionario di Teologia Biblica /diretto da Xavier Leon-Dufour», Casale Monferrato: Marietti, 1971, 1027-1028.
[2] – «Ogni altro insetto alato che ha quattro piedi sarà obbrobrioso per voi; infatti vi rendono impuri: chiunque toccherà il loro cadavere sarà impuro fino alla sera e chiunque trasporterà i loro cadaveri si dovrà lavare le vesti e sarà impuro fino alla sera» (Lv. 11,23-25).
[3] – «Il Signore parlò a Mosè: "Farai per le abluzioni un bacino di bronzo con il piedistallo di bronzo; lo collocherai tra la tenda del convegno e l'altare e vi metterai acqua. Aronne e i suoi figli vi attingeranno per lavarsi le mani e i piedi. Quando entreranno nella tenda del convegno, faranno un'abluzione con l'acqua, perché non muoiano; così quando si avvicineranno all'altare per officiare, per bruciare un'offerta da consumare con il fuoco in onore del Signore» Es. 30,17-20.
«Mosè fece accostare Aronne e i suoi figlî e li lavò con acqua» (Lv. 8,6).
«Si metterà la tunica sacra di lino, indosserà sul corpo i calzoni di lino, si cingerà della cintura di lino e si metterà in capo il turbante di lino. Sono queste le vesti sacre, che indosserà dopo essersi lavato il corpo con l'acqua» (Lv. 16,4).
[4] – «Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al sacerdote all'ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio per il peccato. Il sacerdote li offrirà davanti al Signore e farà il rito espiatorio per lei; ella sarà purificata dal flusso del suo sangue. Questa è la legge che riguarda la donna, quando partorisce un maschio o una femmina» (Lv. 12,6-7).
[5] – «Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu tagliato il cordone ombelicale e non fosti lavata con l'acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale né fosti avvolta in fasce» (Ez. 16,4).
[6] «Làvati, profùmati, mettiti il mantello e scendi all'aia. Ma non ti far riconoscere da lui prima che egli abbia finito di mangiare e di bere» (Rt. 3,3).
[7] – « oppure per chi toccherà un rettile che lo rende impuro o una persona che lo rende impuro, qualunque sia la sua impurità. Colui che avrà avuto tali contatti resterà impuro fino alla sera e non mangerà le offerte sante prima di essersi lavato il corpo nell'acqua» (Lv. 22,5-6).
«Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: "Parlate agli Israeliti dicendo loro: "Se un uomo soffre di gonorrea nella sua carne, la sua gonorrea è impura. Questa è la condizione di impurità per la gonorrea: sia che la carne lasci uscire il liquido, sia che lo trattenga, si tratta di impurità. Ogni giaciglio sul quale si coricherà chi è affetto da gonorrea sarà impuro; ogni oggetto sul quale si siederà sarà impuro. Chi toccherà il giaciglio di costui, dovrà lavarsi le vesti e bagnarsi nell'acqua e resterà impuro fino alla sera. Chi si siederà sopra un oggetto qualunque, sul quale si sia seduto colui che soffre di gonorrea, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e resterà impuro fino alla sera. Chi toccherà il corpo di colui che è affetto da gonorrea si laverà le vesti, si bagnerà nell'acqua e resterà impuro fino alla sera. Se colui che ha la gonorrea sputerà sopra uno che è puro, questi dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e resterà impuro fino alla sera. Ogni sella su cui monterà chi ha la gonorrea sarà impura. Chiunque toccherà qualsiasi cosa, che sia stata sotto quel tale, resterà impuro fino alla sera. Chi porterà tali oggetti dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e resterà impuro fino alla sera. Chiunque sarà toccato da colui che ha la gonorrea, se questi non si era lavato le mani, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e resterà impuro fino alla sera. Il recipiente di terracotta toccato da colui che soffre di gonorrea sarà spezzato; ogni vaso di legno sarà lavato nel'acqua. Quando uno sarà guarito dalla sua gonorrea, conterà sette giorni dalla sua guarigione; poi si laverà le vesti, bagnerà il suo corpo nell'acqua corrente e sarà puro. L'ottavo giorno prenderà due tortore o due colombi, verrà davanti al Signore, all'ingresso della tenda del convegno, e li consegnerà al sacerdote, il quale ne offrirà uno come sacrificio per il peccato, l'altro come olocausto; il sacerdote compirà per lui il rito espiatorio davanti al Signore per la sua gonorrea. L'uomo che avrà avuto un'emissione seminale, si laverà tutto il corpo nell'acqua e resterà impuro fino alla sera. Ogni veste o pelle su cui vi sarà un'emissione seminale dovrà essere lavata nell'acqua e resterà impura fino alla sera. La donna e l'uomo che abbiano avuto un rapporto con emissione seminale si laveranno nell'acqua e resteranno impuri fino alla sera. Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, per sette giorni resterà nell'impurità mestruale; chiunque la toccherà sarà impuro fino alla sera. Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua impurità mestruale sarà impuro; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà impuro. Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà impuro fino alla sera. Chi toccherà qualunque mobile sul quale lei si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà impuro fino alla sera. Se un oggetto si trova sul letto o su qualche cosa su cui lei si è seduta, chiunque toccherà questo oggetto sarà impuro fino alla sera. Se un uomo ha rapporto intimo con lei, l'impurità mestruale viene a contatto con lui: egli resterà impuro per sette giorni e ogni giaciglio sul quale si coricherà resterà impuro. La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del tempo delle mestruazioni, o che lo abbia più del normale, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come durante le sue mestruazioni. Ogni giaciglio sul quale si coricherà durante tutto il tempo del flusso sarà per lei come il giaciglio sul quale si corica quando ha le mestruazioni; ogni oggetto sul quale siederà sarà impuro, come lo è quando lei ha le mestruazioni. Chiunque toccherà quelle cose sarà impuro; dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà impuro fino alla sera. Se sarà guarita dal suo flusso, conterà sette giorni e poi sarà pura. L'ottavo giorno prenderà due tortore o due colombi e li porterà al sacerdote, all'ingresso della tenda del convegno. Il sacerdote ne offrirà uno come sacrificio per il peccato e l'altro come olocausto e compirà per lei il rito espiatorio davanti al Signore, per il flusso che la rendeva impura. Avvertite gli Israeliti di ciò che potrebbe renderli impuri, perché non muoiano per la loro impurità, qualora rendessero impura la mia Dimora che è in mezzo a loro. Questa è la legge per colui che ha la gonorrea o ha avuto un'emissione seminale che lo rende impuro, e la legge per colei che è indisposta a causa delle mestruazioni, cioè per l'uomo o per la donna che abbiano il flusso e per l'uomo che si corichi con una donna in stato di impurità""» (Lv. 15,1-33).
[8] – «Il Signore disse a Mosè: "Va' dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti» (Es. 19,10).
«Laverete anche le vostre vesti il settimo giorno e sarete puri; poi potrete entrare nell'accampamento» (Nm. 31,24).
[9] – Cf. Emanuela Ghini – Giuseppe Barbaglio, voc. Purità, in «Schede bibliche pastorali : 6. O-P / a cura di Giuseppe Barbaglio», Bologna: Edizioni Dehoniane, 1986, 3206-3209.
[10] – «Giovanni testimoniò dicendo: "Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio"» (1,32-34).
[11] – Cf. voc. Acqua, in «Dizionario teologico del Vangelo di Giovanni / a cura di Juan Mateos e Juan Barreto», Assisi: Cittadella editrice, 1982, 24.

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