domenica 5 maggio 2013

La guarigione dell’infermo alla piscina di Betzatà (5,1-18)



La guarigione dell’infermo alla piscina di Betzatà (5,1-18)


«Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudèi e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [Un angelo infatti in certi momenti scendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo a entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto]. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: "Vuoi guarire?". Gli rispose il malato: "Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me". Gesù gli disse: "Àlzati, prendi la tua barella e cammina". E all'istante quell'uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudèi all'uomo che era stato guarito: "È sabato e non ti è lecito portare la tua barella". Ma egli rispose loro: "Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi la tua barella e cammina"". Gli domandarono allora: "Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi e cammina"?". Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: "Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio". Quell'uomo se ne andò e riferì ai Giudèi che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudèi perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato. Ma Gesù disse loro: "Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco". Per questo i Giudèi cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (5,1-18).


In questo brano il riferimento a «i Giudèi» ricorre ben cinque volte. La prima ricorrenza al v. 1 cade nell’àmbito del vero ‘e proprio racconto del miracolo (5,1-9a) e serve a contestualizzare l’episodio nel corso di una non precisata festività religiosa ebraica («una festa dei Giudèi »).
Le altre quattro ricorrenze del termine si hanno nella seconda parte del brano dedicata alla disputa sul sabato (5,9b-18) che coinvolge il gruppo appunto de «i Giudèi», il paralitico guarito e lo stesso Gesù.


«Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudèi e Gesù salì a Gerusalemme» (5,1).

L’espressione redazionale «una festa dei Giudèi», al v. 1, ricorda in parte l’espressione che s’incontra in 2,13 («Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudèi e Gesù salì a Gerusalemme»). Anche se in nel c. 2 si trattava della «Pasqua dei Giudèi» e qui, più genericamente, di «una festa dei Giudèi», certamente diversa dalla Pasqua. Emerge anche qui una certa ambivalenza.
Si manifesta certamente la grande attenzione prestata da Gesù alle ricorrenze cultuali ebraiche. Egli infatti non esita a compiere gli abituali pellegrinaggî a Gerusalemme che tanti ebrei facevano in occasione delle principali festività del culto jahwista. Gesù appare quindi pienamente partecipe degli atti di culto giudaici.
Allo stesso tempo l’uso, da parte dell’evangelista, della specificazione «dei Giudèi», in luogo di un’espressione, di per sé più in linea con la tradizione primotestametaria, «una festa del Signore», segna anche qui l’emergere di una prima presa di distanza con il giudaismo. L’evangelista sembra in tal modo riferirsi a una comunità che si comprende come una realtà diversa dalla comunità religiosa giudaica. Gli stessi pellegrinaggî periodici a Gerusalemme in occasione di particolari festività sono concepiti come qualcosa di proprio della comunità giudaica e, per altri versi, come qualcosa di ormai sostanzialmente estraneo all’autentico culto cristiano.
Le altre quattro ricorrenze dell’espressione «i Giudèi», ai vv. 10,15,16 e 18, vengono registrate nel susseguirsi di quattro dialoghi, il primo e il terzo tra l’ex paralitico e «i Giudèi», il secondo tra l’ex paralitico e Gesù, il quarto tra Gesù e «i Giudèi». La scena qui si svolge a Gerusalemme, come abbiamo visto in occasione di un’importante festività religiosa, l’espressione «i Giudèi» in questo contesto sembra designare con ogni probabilità un gruppo particolarmente influente nell’àmbito dei gruppi dirigenti politici e religiosi della città, impegnati a comprendere chi effettivamente sia Gesù. Questa ricerca si inserisce nel pieno di un episodio, quello della guarigione del paralitico che pone in discussione un tema centrale per il culto ebraico, quello del rispetto del riposo sabbatico, che, ai loro occhî, appare posto pericolosamente in discussione dalla predicazione di Gesù.


«Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all'uomo che era stato guarito: "È sabato e non ti è lecito portare la tua barella". Ma egli rispose loro: "Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi la tua barella e cammina"". Gli domandarono allora: "Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi e cammina"?". Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo» (5,9b-13).

La prima scena (vv. 9b-13), vede «i Giudèi» sorprendere l’ex paralitico violare platealmente il precetto del sabato e lo rimproverano duramente («È sabato e non ti è lecito portare la tua barella», 5,10). L’ex paralitico si difende dichiarando che «"Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi la tua barella e cammina""» (5,11). Qui «i Giudèi» mostrano con chiarezza quale sia il loro autentico obiettivo. Si disinteressano dell’ex paralitico e si concentrano su colui che, ai loro occhî, è il vero ‘e proprio “mandante” del comportamento di violazione del precetto sabbatico: «Gli domandarono allora: "Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi e cammina"?"» (5,12). La loro preoccupazione è scoprire chi sia colui che, con atti di grande rilevanza taumaturgica e spirituale, pone in pericolo la regolarità della prassi cultuale tradizionale. Ma l’ex paralitico non è in condizione di dir loro chi sia stato a guarirlo e ad avergli comandato di prender su il proprio lettino.


«Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: "Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio"» (5,14).

La seconda scena (v. 14) narra un nuovo incontro tra l’uomo guarito e Gesù. La scena si svolge nel tempio e in essa Gesù coglie l’occasione per un appello di elevato tono spirituale in cui invita l’uomo a fuggire assolutamente il peccato.


«Quell'uomo se ne andò e riferì ai Giudèi che era stato Gesù a guarirlo» (5,15)

La terza scena (v. 15), vede di nuovo di fronte l’ex paralitico e «i Giudèi». L’uomo guarito si affretta a informare «i Giudèi» circa l’identità di colui che ha operato la sua guarigione. È del tutto svanito dal racconto il richiamo spirituale di Gesù a rifuggire il peccato, la preoccupazione centrale è rivolta all’osservanza esteriore dei precetti, in particolare quello del riposo sabatico.


«Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato. Ma Gesù disse loro: "Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco". Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (5,16-18).

La quarta e conclusiva scena (vv. 16-18) vede al v. 17 di fronte Gesù e «i Giudèi». A dire il vero più che una scena dell’episodio questa pericope dei vv. 16-18 sembrerebbe più un commento del narratore all’episodio narrato, con la citazione di un detto di Gesù, indirizzato a «i Giudèi», ripreso probabilmente da altro contesto. Una tale inserzione permetterebbe infatti di elevare le ragioni del conflitto tra Gesù e «i Giudèi» da un contrasto sul piano delle regole cultuali (il rispetto del riposo sabatico) al piano del rifiuto da parte de «i Giudèi» dell’alta cristologia giovannea («chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» – 5,18), un tema che, a una stretta osservazione delle caratteristiche dell’episodio, non sembra direttamente intessuto con le ragioni di contrasto poste esplicitamente in evidenza da quanto raccontato nel brano.
Per persone immerse nella cultura ebraica la pretesa di Gesù di chiamare Dio come proprio Padre, cioè di stabilire un rapporto di figliolanza in senso proprio con Dio, appariva come una vera ‘e propria bestemmia. I termini di questo conflitto riappariranno più avanti in 10,33 e 19,7.

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